“Tutti abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola”. È questo oggi il mantra di Giulia Cirelli, una delle Pink Ambassador di Fondazione Veronesi. L’ iniziativa, nata nel 2014, recluta ogni anno donne provenienti da tutta Italia che, dopo avere affrontato un tumore tipicamente femminile, scelgono di mettersi alla prova allenandosi, sotto la guida di un team tecnico d’eccellenza, per correre una gara podistica.
«Era l’inizio del 2017 quando ho scoperto di avere un tumore al seno – racconta oggi Giulia. – Un paio di mesi prima avevo sentito un piccolo nodulo che mi aveva un po’ insospettito ma avendo un seno noduloso e prendendo la pillola, lì per lì non avevo dato molto peso alla cosa. Sotto Natale, sentendo che quel nodulo c’era ancora, ho pensato fosse meglio approfondire e così ho chiamato il medico di base e mi sono fatta fare un’impegnativa per l’ecografia».
Dalla diagnosi all’intervento
A gennaio, dopo aver fatto tutti gli accertamenti necessari, Giulia riceve la diagnosi e a marzo si sottopone all’intervento.
«Non è stato un momento facile, perché mai mi sarei immaginata, a 36 anni, di fare i conti con il tumore al seno. Il medico che mi ha dato la diagnosi, però, è stato da subito molto bravo: mi ha spiegato tutti quelli che erano stati i progressi nella ricerca e quindi tutto quello che avrei potuto fare per curarmi. Mi ha tranquillizzato molto spiegandomi che quello al seno è oggi uno dei tumori coi più alti tassi di guarigione – racconta ancora. – A darmi la forza in quel momento è stato anche il pensiero dei miei figli: all’epoca erano ancora piccoli, il primo aveva appena iniziato le scuole medie e il secondo era ancora alle elementari. Non volevo che questa situazione li scombussolasse o che cambiasse gli equilibri familiari».
Il periodo della chemioterapia
Il momento più difficile, per Giulia, arriva però dopo l’intervento.
«Quando l’oncologo mi ha detto che avrei dovuto fare 6 mesi di chemioterapia ho avuto un crollo – ricorda – quella è stata la notizia che mi ha fatto piangere. Il pensiero è andato subito ai capelli… anche se poi sono diventati la mia ultima preoccupazione. Ricordo che ero molto spaventata, non sapevo a cosa sarei andata incontro: mi avevano spiegato quali potevano essere gli effetti collaterali ma fino a che non cominci le sedute, non puoi sapere come reagirà il tuo corpo».
Giulia si trova inoltre costretta a fare i conti con una serie di problematiche post operatorie. «Il tumore era stato tolto e quella era la cosa più importante – ricorda – ma la parte ricostruttiva, che non è comunque un dettaglio da poco per una donna, si rivelò più complicata del previsto. A causa di una serie di infezioni, mi sono dovuta sottoporre a sette interventi in tre anni. Anche in quel caso, però, ho avuto la fortuna di incontrare un chirurgo plastico che si è preso a cuore la mia situazione e mi ha accompagnato in questo lungo percorso facendo tutto il possibile, e anche l’impossibile, per intervenire con quelle protesi che ancora oggi ho».
Un viaggio che si affronta un passo alla volta
Nonostante le difficoltà, Giulia ce la mette tutta per andare avanti e per cercare di mantenere la vita di sempre.
«Mi alzavo comunque la mattina per preparare la colazione ai ragazzi – ricorda – e a loro ho sempre cercato di raccontare tutto con sincerità, senza spaventarli. Ho detto loro anche della chemioterapia, spiegando che si trattava di un percorso che dovevo fare per guarire… I capelli? La prima cosa che ho fatto è stata comprarmi una parrucca che poi però non ho quasi mai indossato perché mi dava fastidio. Col tempo ho capito che ogni donna deve fare ciò che la fa star meglio senza focalizzarsi su quello che potrebbero pensare gli altri. Il percorso del tumore è una specie di viaggio, che si affronta un passo alla volta, abituandosi a ricevere notizie non sempre buone. Ci vuole molta pazienza, tanta forza ma alla fine si affrontano anche gli aspetti più difficili perché l’obiettivo è quello di guarire e di debellare questo male il prima possibile».
Il progetto di Fondazione Veronesi
È proprio in uno di quei momenti difficili che Giulia scopre il progetto di Fondazione Veronesi.
«Ricordo che dopo la prima seduta di chemioterapia mi ero spaventata tantissimo: ero sdraiata sul divano in preda a una stanchezza mai provata prima. In quel momento mi sono domandata se sarei mai tornata quella di prima. Scoprire sui social il progetto Pink Ambassador di Fondazione Veronesi è stato un messaggio di speranza: erano donne che avevano avuto un tumore femminile, che avevano affrontato interventi e chemioterapie proprio come me ma che erano riuscite, dopo qualche anno, a correre una maratona. Grazie a loro ho capito che anch’io potevo tornare a star bene e così mi sono fatta una promessa: una volta guarita, mi sarei allenata anch’io per correre una maratona e avrei trasformato anche io la mia esperienza in qualcosa di positivo per me per gli altri».
Giulia Cirelli con le Pink Ambassador – Bergamo
«Quando sono diventata Pink Ambassador»
Nel 2021, finite le terapie, Giulia Cirelli si candida al progetto e diventa così una Pink Ambassador del team di Bergamo.
«Ho cominciato ad allenarmi e ho scoperto che correre mi piace tantissimo – racconta oggi. – La corsa in fondo è anche un po’ la metafora del percorso che abbiamo affrontato tutte noi per sconfiggere la malattia. È fatica ma ti allena a raggiungere l’obiettivo. La cosa più bella? Avere la possibilità di condividere questa avventura con altre compagne di viaggio che hanno passato la stessa esperienza. Si crea una tale complicità tra di noi che, a volte, non abbiamo nemmeno bisogno di parlare perché ci basta uno sguardo per capirci. Inutile negarlo: la paura di potersi riammalare ogni tanto torna a farsi sentire, soprattutto quando arriva il momento di fare dei controlli… avere la possibilità di condividere nel gruppo le nostre paure ci permette però di affrontarle in modo più sereno».
L’impegno per la ricerca e la prevenzione
Correre con le Pink Ambassador significa però per Giulia anche ‘restituire’ ad altre donne quel messaggio di speranza che ha salvato lei durante le chemioterapie. Sostenendo allo stesso tempo il ruolo della ricerca e della prevenzione.
«È diventata ormai una parte fondamentale del mio percorso sensibilizzare chi mi sta vicino sull’importanza della prevenzione – conclude. – Se quel giorno di 8 anni fa, avessi lasciato perdere e non avessi approfondito il mio sospetto con una visita, non so come sarebbe andata a finire. I controlli mi hanno permesso di prendere il tumore per tempo e, grazie alla ricerca, ho avuto tutte le possibilità per curarmi. Con le mie amiche a volte sono fin troppo insistente ma per me è davvero importante ribadirlo: non bisogna aver paura di fare un controllo perché è una semplice azione che può fare però la differenza».