La decisione del magnate dopo aver visto sulla piattaforma un cartone animato per bambini che propagandava il gender.Accanto all’ambiguità della piazza e del suo uso politico esiste un altro strumento il cui significato politico ed il cui uso hanno assunto un ruolo nuovo ed un oggettivo rilancio grazie alle dinamiche social: il boicottaggio. La storia dei boicottaggi, nati nel 1880, ha conosciuto negli ultimi anni una svolta decisiva grazie alla viralità che determinati messaggi possono assumere attraverso le dinamiche social. Recentemente si sono segnalati casi particolarmente significativi: la birra Bud pubblicizzata dal trans Dylan Mulvaney il cui boicottaggio ed il conseguente crollo delle azioni è divenuto un caso studio che ha portato al ritiro della campagna pubblicitaria ed alle dimissioni dei responsabili, la Biancaneve woke della Disney e l’episodio di Star Wars della regista lesbica che ha dichiarato di voler girare un film «che mettesse a disagio il maschio bianco», le cui produzioni sono state rinviate a data da destinarsi, oppure il recente caso, opposto negli effetti ma altrettanto indicativo, dei jeans America Eagle la cui campagna pubblicitaria volutamente impostata su temi culturali anti woke è divenuta un esempio di successo di marketing, moltiplicando il valore di un brand di nicchia. Esistono però casi tipici di boicottaggi falliti: da quello contro Uber del 2017, alle varie campagne che si sono susseguite negli ultimi dieci anni sia contro Amazon sia contro Facebook, sino al recente caso studio del fallito boicottaggio sui prodotti israeliani lanciato negli Stati Uniti. Ma la chiave per interpretare le dinamiche sociali che stanno alla base del successo o dell’insuccesso di queste azioni collettive ci viene dall’iniziativa lanciata la settimana scorsa da Elon Musk contro Netflix. A seguito della presenza all’interno dell’offerta della piattaforma di streaming di un cartone animato fortemente orientato alla propaganda trans e gender sui bambini dal titolo «The baby sitters club», Musk ha lanciato l’iniziativa «Cancel Netflix» finalizzata a spingere le persone a disdire il loro abbonamento, ottenendo in pochi giorni enormi risultati, probabilmente i più alti in assoluto per una campagna di boicottaggio social. I numeri reali delle disiscrizioni non sono stati diramati da Netflix ma da quando la campagna è stata lanciata il volume di ricerche su Google per la frase «come disdire Netflix», nelle varie lingue, è aumentata globalmente del 525% in una settimana. A ciò si deve aggiungere un ripiegamento in Borsa del titolo Netflix che ha portato ad una perdita di capitalizzazione pari a circa venti miliardi di dollari solo a causa delle «cancellazioni rapide», e ad un calo continuato di cinque giorni consecutivi del titolo, per una perdita complessiva del 5%. Occorre dire che non è la prima volta che gli utenti hanno dimostrato insofferenza per le scelte woke di Netflix ma se, per esempio, nel caso delle proteste nei confronti del film «Cuties» del 2020 si può parlare di danno d’immagine grave ma limitato ad un singolo prodotto, questa volta il rigetto nei confronti dell’impostazione woke pare stia rivelando un più ampio cambio di clima culturale e le implicazioni sono molte e di grande interesse. Innanzitutto, grazie alla tecnologia che consente l’immediatezza delle scelte suggerite nelle campagne di boicottaggio, è da notare come il contagio delle dinamiche social si proietti in tempo reale su quelle borsistiche: un boicottaggio che funziona è in grado di influenzare un titolo nel giorno stesso in cui nasce.Altro aspetto fondamentale consiste nell’effetto moltiplicatore dato dal rispecchiamento del successo della campagna stessa: più funziona, più viene documentata come funzionante sui social e più attira adesioni. Importante appare inoltre la possibilità di concentrare le azioni contro un prodotto specifico e non di declinarle in generale su battaglie morali vaghe che non riescono a concretizzare l’attenzione del pubblico: la «fame nel mondo» di novecentesca memoria non funziona più, mentre l’identificazione di un preciso prodotto con una precisa scelta ideologica risulta subito evidente, così come il suo rifiuto. Il senso di comunità che un boicottaggio riuscito riesce a creare non è una novità, avveniva anche nell’Ottocento, ma la è nel momento in cui esso viene proiettato a livello globale e si nutre di continue conferme. Infine il fattore determinante: il boicottaggio oggi assume il significato di smascheramento, fuoriuscita e contrasto alla narrazione dominante, costituendosi così come gesto qualificante e di appartenenza concreta ed efficace ad un’azione culturale. Ecco dunque come spiegare gli incessanti e sempre più invasivi tentativi di limitare la libertà online e di aumentare il controllo su ogni espressione di libero pensiero, dagli arresti in Gran Bretagna alle proposte dell’Unione europea finalizzate al controllo dei contenuti di ogni singola chat privata di ogni cittadino. Non ci stupisce, peraltro, constatare che le istituzioni hanno più a cuore la protezione delle narrazioni ufficiali, pubbliche e private, piuttosto che la libertà dei cittadini e dei mezzi a loro disposizione per esprimerla.

Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco

Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.

Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».

La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.

Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.

«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».

Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.

Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.

Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».

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Mario Venditti. Nel riquadro da sinistra: Maurizio Pappalardo, Silvio Sapone e Antonio Scoppetta (Ansa)