L’armeno racconta: “Mi proposero tre anni di contratto più uno, ma non potevo accettare. Mentre me ne parlavano, pensavo alla Roma. Alla Curva Sud, all’inno, ai bambini sugli spalti. Non avrei mai potuto tradire i tifosi”

Nel suo libro “La mia vita sempre al centro” , scritto insieme al giornalista Alessandro Alciato, Henrikh Mkhitaryan racconta diversi momenti chiave della sua carriera e della sua vita personale. Tra i tanti aneddoti, spicca quello legato al suo primo contatto con l’Inter, avvenuto al termine della stagione 2020/21, quando il centrocampista aveva appena concluso il primo anno con la maglia della Roma. L’armeno si trovava in vacanza a Montecarlo quando ricevette una telefonata dal direttore sportivo nerazzurro, Piero Ausilio. “Miki, vorremmo venissi da noi, a Milano”, gli disse. L’armeno, però, aveva ancora dei dubbi e rispose con cautela: “Io entro il 31 maggio, quindi nei prossimi giorni, dovrò decidere se continuare a Roma oppure no”. Ausilio gli spiegò che, per portarlo all’Inter, sarebbe stato necessario prima cedere due giocatori: Lukaku e Hakimi. A quel punto, Mkhitaryan scelse la via più sicura: “Preferirei di no, non voglio correre il rischio di rimanere senza la Roma e senza di voi, nel caso alla fine non dovessero partire quei due calciatori. Facciamo così: resto alla Roma un altro anno e poi ne riparliamo”.Il no all’Inter, però, fu solo rimandato: dodici mesi dopo, nell’estate 2022, Mkhitaryan si trasferì a Milano, stavolta a parametro zero, nonostante Mourinho avesse tentato fino all’ultimo di trattenerlo a Trigoria. A sorprendere è anche un passaggio del libro in cui parla di un rifiuto alla Lazio: “Mi proposero tre anni di contratto più uno, ma non potevo accettare. Mentre me ne parlavano, pensavo alla Roma. Alla Curva Sud, all’inno, ai bambini sugli spalti. Non avrei mai potuto tradire i tifosi. Meritavano il mio rispetto.”

L’armeno, nella sua biografia ha raccontato anche il suo rapporto con lo Special One, soffermandosi sulla finale di Conference poi vinta: “Andiamo a vincere in Europa, ce lo dicevamo spesso nello spogliatoio di Trigoria. Mourinho fece tappezzare tutto il centro sportivo con foto del trofeo e la scritta ‘DOBBIAMO VINCERE’. Erano ovunque: nello spogliatoio, nei corridoi, in cucina, perfino in bagno. Non potevamo pensare ad altro. Vivemmo quella partita come un destino”“Un secondo dopo il triplice fischio ci siamo stretti in un abbraccio sincero. ‘We did it Miki’, mi disse. Lo avevamo fatto davvero.”