Sono sicuro che questo discorso l’abbiamo già fatto altre volte, ma pensavo, mentre guardavo Play Dirty, che se di un film action l’unica cosa che ti sta piacendo sono le battute È POSSIBILE che non abbia proprio centrato il punto.
Che dire, raga, sono deluso quanto voi. L’uscita di un film nuovo di Shane Black dovrebbe essere un momento di festa e comunione, non l’ennesimo spunto per riflettere sull’enshittification di Hollywood a causa del ruolo sempre più pervasivo e nefasto delle piattaforme nei nostri cazzo di film di genere, eppure eccoci qui.
Sigla?

Facciamo un passo indietro: chi è Shane Black.
No no aspetta, che cavolo dico, troppo indietro. Chi è Shane Black lo sanno anche i sassi.
Facciamo un passo indietro ma in direzione leggermente obliqua: chi è Donald Westlake.

Donald Westlake è stato uno scrittore che definire “iperattivo” non inizia neanche a coprire la vastità di roba che ha prodotto nel corso della sua vita. È il genere di autore che ha scritto quindici romanzi, 30 racconti brevi, una raccolta di aforismi, un libro di barzellette, diversi saggi, un soggetto e tre sceneggiature per il cinema… il primo mese, ma poi ha aumentato un po’ il ritmo. Stando a IMDb là fuori c’è almeno una quarantina di film tratti da suoi libri (ultimo in ordine di tempo, No Other Choice di Park Chan-Wook, che aspettiamo tutti con una discreta gigantoscopica fotta), più un’altra mezza dozzina che ha scritto direttamente, tra cui vale la pena ricordare la saga di The Stepfather – Il patrigno, una commedia con Massimo Boldi e The Grifters, per cui ha persino sfiorato l’Oscar (e, ironicamente, è tratto dal libro di un altro scrittore, Jim Thompson!). Ma soprattutto, è il creatore di Parker, il cazzutissimo protagonista di non uno, non dieci, ma VENTIQUATTRO romanzi crime, che per qualche motivo Westlake ha scritto dietro lo pseudonimo di Richard Stark.

Parker è un personaggio che piace a Hollywood. È un duro come andavano di moda una volta (inserire qui oggi non glielo lascerebbero fare!), il tipo di uomo tutto d’un pezzo che gioca solo secondo le sue regole e ottiene sempre ciò che vuole; un antieroe stronzo fino al midollo, un ladro professionista che agisce senza rimorsi e con letale efficienza, che non sbaglia mai un colpo e che cazzo ne so, probabilmente scopa come un toro e piscia più lontano di tutti. Quel tipo di fantasia lì, irresistibile per certa gente, e che infatti è stata portata al cinema già un botto di volte – con una bizzarra clausola: Parker, nei film, non si chiama mai Parker.
Il fatto è che Westlake aveva capito il potenziale di serializzabilità del suo personaggio e perciò a chi gli proponeva di farci un film diceva: io il romanzo ve lo do, ma se volete usare il nome di Parker vi dovete impegnare a farli tutti. Che è un’idea fenomenale, oggi, ma nel 1965 nessuno aveva una visione del genere e semplicemente gli rispondevano “ok, fottesega, gli diamo un altro nome”.
E così anche per tutti gli anni 70, 80 e 90: Parker va al cinema, ma si chiama Walker, Georges, Stone, Porter… Viene interpretato da gente come Lee Marvin, Robert Duvall, Mel Gibson e persino, in un adattamento non ufficiale firmato da Jean-Luc Godard, da Anna Karina, che in questo caso si chiama Paula. Poi, nel 2008, Westlake muore e i contorni di questa regola si fanno un po’ meno precisi. Nel 2013 Les Alexander, un produttore da due soldi il cui unico talento era essere un vecchio amico di Westlake, realizza il primo film di Parker in cui Parker si chiama Parker e sceglie saggiamente di intitolarlo Parker. È con Jason Statham. Non è granché. Alexander ovviamente non si era impegnato ad adattare l’intera serie di romanzi, aveva detto “se questo va bene ne facciamo altri” e tanto era bastato alla vedova di Westlake. Parker non va bene. Non ne fanno altri.
Flash forward (o fast forward?) agli anni 20: i paradigmi di Hollywood sono cambiati completamente e in pochissimo tempo. Tutto d’un tratto nessuno vuole fare più film se non vengono da una IP già esistente – non importa se famosa o di successo, sembra davvero che l’unico requisito per fare un film sia NON avere un’idea originale – e ancora di più nessuno investe su un film senza l’implicita promessa che possa trasformarsi in un franchise multimediale multipiattaforma multifunzione e multiversale. Insomma, gli astri si sono finalmente allineati, è tempo per gli Amazon Studios di rispolverare Parker e farne una specie di Mission: Impossible a basso mantenimento. E hanno l’uomo perfetto per questo compito: un leggendario anche se non particolarmente prolifico sceneggiatore e regista che risponde al nome di Shane Black.

«Allora guarda secondo me dovremmo fare un bel film»
«Pazzesco, ho avuto la stessa idea»

Scritto in combutta con Anthony Bagarozzi, già co-autore di The Nice Guys, e Chuck Mondry, sceneggiatore di Road House insieme proprio al Bagarozzi, Play Dirty è anche il primo film con Parker che non viene da un romanzo di Parker: è un’avventura 100% originale nonostante l’intero punto della faccenda fosse proprio l’opportunità di sfruttare un personaggio consolidato con ventiquattro copioni già pronti, ma ehi! Starò mica qui a lamentarmi del fatto che qualcuno ha dato carta bianca a Shane Black.
Il risultato fa pressappoco così: dopo un colpo andato a puttane e essersi preso una pallottola in pancia da un membro della banda che lo ha tradito ed è scappata con il bottino, Parker – interpretato con poco sforzo e ancora meno intenzione da Mark Wahlberg – è sul piede di guerra. Rivuole i suoi soldi e vuole vendetta, e mentre insegue entrambi finisce invischiato in uno strambo intrigo internazionale legato a un galeone spagnolo su cui vogliono mettere le mani la mafia di New York, un miliardario nigeriano, il regime dittatoriale di un anonimo Stato sudamericano e un gruppo di rivoluzionari. Insieme all’amico e collega Grofield (altro personaggio ricorrente dei libri di Westlake, interpretato dall’ottimo e onnipresente LaKeith Stanfield), Parker mette insieme una squadra di adorabili rincoglioniti e organizza un heist assurdamente complicato che si concluderà con una sacco di roba che esplode e di gente che muore.

Heist heist baby

A costo di dire una banalità, Shane Black è ancora un grandissimo dialoghista e, come abbiamo visto in The Nice Guys, un regista più che in gamba il cui principale talento sta proprio nel saper mettere tutto al servizio di quella scrittura fulminante: Play Dirty non è solo un buon copione, non è divertente perché è pieno di battute – è proprio uno spasso da guardare per come è montato, per la perfezione dei tempi comici, perché tutti i personaggi giusti dicono la cosa giusta al momento giusto.
Il problema, come dicevo all’inizio, è che però come heist movie è piuttosto derivativo, e come action fa proprio cagare.
Mai le due anime del cinema di Shane Black mi sono sembrate così lontane: se da un lato di ride e si passano due ore in compagnia di una gang di irresistibili mascalzoni che vorresti nella tua vita sempre, dall’altro si consuma un pasticcio di azione confusa e disconnessa da tutto il resto, affogata in quintali di pessima e innecessaria CGI.

Meh

Credo che la chiave di lettura per capire perché questo film non funziona fino in fondo sia sapere che era nato come un progetto di Joel Silver, il produttore leggendario che ha spinto tutti i lavori migliori di Black, e pensato con Robert Downey Jr. nel ruolo di Parker. Poi se n’è andato Silver e poi se n’è andato Downey.
Al posto del primo è subentrata Jules Daly: niente di personale, ma dalla persona che ha prodotto The Tomorrow War e Ghosted non mi aspetto niente e niente è esattamente quello che ho avuto. Play Dirty si gioca le idee migliori nel primo quarto d’ora, dopodiché l’azione si trascina fiacca e formulaica attraverso una serie di snodi prevedibili narrativamente e visivamente.
E senza più RDJR si è ripiegato, tra tutta la gente che c’era, su Marky Mark, un attore che è ormai il pilota automatico di sé stesso e per il quale mi fregio di avere inventato la definizione di “discount di lusso”. Ovvero: secondo me, oggi, fare un film con Mark Wahlberg è come quando fai la spesa al Lidl per risparmiare ma in uno slancio di orgoglio compri i prodotti più costosi di ogni scaffale, sentendoti un buongustaio e un consumatore accorto. Ormai lo possiamo dire che, a prescindere da cosa lui creda, Wahlberg non è una star, non è un nome che porta la gente in sala, né una personalità carismatica che si carica sulle spalle un intero progetto. Ma ha una faccia abbastanza famosa e una carriera abbastanza rispettabile che se vedi un suo film in un cestone dici “beh, almeno questo ha Mark Wahlberg!”. Discount, ma di lusso.

“Ehi!”

Detto questo, Black fa i salti mortali per dare spessore a Parker (anche a costo di contraddire il canone stabilito da Westlake, che lo vuole duro come il marmo e impassibile di fronte a qualsiasi cosa), ma Mark Wahlberg è buono solo a fare Mark Wahlberg, e infatti scompare ogni volta che è in scena con Stanfield, che dovrebbe essere la spalla, ma è un milione di volte più carismatico, più a suo agio e più in sintonia con la scrittura di Shane Black. Parker non solo è sgradevole e difficile da prendere in simpatia, ma non ci interessa proprio la sua storia, non siamo dentro le sue motivazioni e di certo non aiuta il fatto che ogni volta che spara a uno stronzo random sembra che stia spuntando una casella dalla lista delle cose da fare.

MVP

Play Dirty è uscito su Prime Video per cui è impossibile sapere se sta avendo successo o meno, ma i pareri che si leggono in giro sono parecchio freddi.
Un osservatore casuale potrebbe pensare che, in un mondo in cui le piattaforme dominano la distribuzione e si impegnano attivamente affinché le performance dei film siano inconoscibili, l’unico parametro per misurarne il successo sia la reazione del pubblico. In questo contesto avrebbe senso per le piattaforme, che non devono preoccuparsi di quanti biglietti staccano, investire risorse ed energie per fare film che scatenino forti reazioni da parte del pubblico.
E attenzione, non parlo di capolavori, neanche di film necessariamente belli o intelligenti, ma di film che, nel bene o nel male, catturino l’attenzione della gente, che siano in grado di generare un dibattito, una conversazione, una chiacchiera alla macchina del caffè. Che lascino un segno.
Questo è quello che potrebbe pensare uno spettatore casuale.
Noi invece sappiamo che più il tempo passa più le piattaforme si fanno pavide, o semplicemente disinteressate a produrre qualsiasi cosa che possa attirare l’attenzione di chicchessia. A livello di storia non fanno che ripetere gli stessi canovacci con variazioni minime, ma dove si cagano veramente sotto è nella messinscena, che è puntualmente timida, anonima, impersonale. Quando Amazon o Netflix fanno un film sembra che sperino che passi inosservato. Ehi, noi lo facciamo, ci mettiamo anche dei bei soldi, eh? Ma speriamo davvero che non se ne accorga nessuno!
E Play Dirty non fa eccezione. Nonostante sia scritto e diretto dal figlio di puttana che ha fatto la storia dell’action americano negli anni 80 e 90, è una roba che si dimentica mentre scorrono ancora i titoli di coda.

Streaming-quote:

“Speravo meglio, sai, magari non proprio The Nice Guys, ma tipo The Nice Guys”
Quantum Tarantino, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

BONUS TRACK: a grande richiesta (?) torna IL BINGO DI SHANE BLACK, ovvero quali delle ossessioni del nostro shaneggiatore preferito troviamo prepotenti anche in questo film.

1. Il Natale: ✅ Play Dirty è ovviamente ambientato tra Natale e Capodanno
2. La buddy comedy: ✅ Il film parte che Parker e Grofield sono già amici, perciò manca tutta la parte in cui si conoscono, prima bisticciano ma poi si rispettano, nondimeno sono un bianco e un nero con caratteri opposti che collaborano per un interesse comune.
3. Bambini: ❌ Uno dei pochi film di Shane Black in cui non c’è neanche un ragazzino in un ruolo rilevante
4. Il protagonista tormentato: ❌ Parker è un duro, non ha tempo per cose come soffrire o avere dei sentimenti
5. Il protagonista torturato: 🟰 C’è un breve momento in cui sembra che dei tizi vogliano torturare Parker, ma Parker è così figo che li convince a non farlo.
6. La mano ferita: ✅ C’è una scena veramente inspiegabile (se non con il fatto che è un’ossessione di Shane Black) in cui una ragazza mostra una mano fasciata e racconta di essersi appena operata al tunnel carpale
7. L’auto in casa: ✅ Non proprio, però nel prologo un’auto entra nel giardino di un’abitazione e poi prosegue in un inseguimento dentro un ippodromo
8. Finale in dissolvenza con gli amici che si allontano chiacchierando: ✅