Laszlo Krasznahorkai è il premio Nobel per la Letteratura 2025 “per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”. Così si è espresso il Comitato del Nobel nel premiare l’autore ungherese nato a Gyula nel 1954 e che si è distinto fin dal 1985 con la sua opera d’esordio, Sátántangó , un ritratto cupo e affascinante di una comunità rurale al collasso. Spesso descritto come autore postmoderno, Krasznahorkai è noto per le sue frasi lunghe e sinuose, i temi distopici e malinconici e un’intensità descrittiva ipnotica incessante (“un lento flusso di lava narrativa”) che ha portato i critici letterari a paragonarlo a Gogol, Melville, Kafka, e permetteteci la forzatura anche ad una certa idea concettuale beckettiana dell’attesa. Sátántangó, peraltro, è stato trasposto in un film di sette ore dal regista Bela Tarr con cui Krasznahorkai ha avuto una lunga collaborazione creativa in altri sei opere tra cui Le armonie di Werckmeister, Il cavallo di Torino e L’uomo di Londra.
Pur figlio di un avvocato e di una dirigente del settore pubblico, e prima di laurearsi a Budapest in Lettere nel 1983, Krasznahorkai è nato in un’area rurale nel sud-est dell’Ungheria, vicino al confine con la Romania. Un luogo remoto che ha ispirato proprio il suo primo romanzo Sátántangó , pubblicato nel 1985 e successo letterario in patria, poi diventato anche un film, opera fiume con lunghi piani sequenza in bianco e nero dal regista ungherese Bela Tarr. Un romanzo suggestivo legato bizzarramente ad una attesa messianica tra strambi satanici imbroglioni e campagnoli indigenti di una fattoria collettiva abbandonata nella campagna ungherese, poco prima della caduta del comunismo. Sátántangó è costruito su lunghi avvolgenti periodi senza interpunzione, pause, boccate d’aria, che diventerà un tratto distintivo stilistico della poetica dell’autore ungherese.
Proprio dopo aver letto il suo primo romanzo, Susan Sontag definì Krasznahorkai il “maestro dell’apocalisse” della letteratura contemporanea. Giudizio ulteriormente confermato dopo aver letto Az ellenállás melankóliája /La malinconia della resistenza, il secondo libro scritto nel 1989, un fantasy horror onirico e grottesco ancora ambientato in una piccola città ungherese nascosta in una valle dei Carpazi dove la percezione dell’apocalisse è descritta tra segnali minacciosi, cupi circensi, una inquietante carcassa di una balena gigante e atti anarchici e improvvisi di violenza e vandalismo. Queste “epopee apocalittiche” si ricomporranno anche in Guerra e guerra (1999), Il ritorno del barone Wenckheim (2019) e nella novella Herscht 07769 , pubblicata nel 2024. “László Krasznahorkai è un grande scrittore epico di tradizione mitteleuropea che si estende da Kafka a Thomas Bernhard ed è caratterizzato da assurdismo ed eccessi grotteschi”, scrive il Comitato del Nobel descrivendone le gesta letterarie per oltre trenta anni.
In una lunga intervista alla rivista dell’università di Yale, il neo nobel spiegò il suo concetto chiave che ne ha permeato le atmosfere letterarie: “L’apocalisse è un processo che è in corso da molto tempo e continuerà per molto tempo. L’apocalisse è adesso, è un giudizio in corso. Possiamo solo illuderci sul futuro, la speranza appartiene sempre al futuro e il futuro non arriva mai, è sempre sul punto di arrivare. (…) Almeno ciò che viviamo come presene esiste. L’inferno e il paradiso sono entrambi sulla Terra, e sono qui ora. Non dobbiamo aspettarli eppure lo facciamo confrontandoci con la colonna sonora della speranza”. Lo scrittore ungherese succede alla coreana Han Kang, vincitrice del Nobel per la Letteratura nel 2024. Una parte delle opere di Krasznahorkai è pubblicata in Italia da Bompiani. Qui la nostra recensione a Guerra e guerra.
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