Intervista alla ministra degli Esteri Villavicencio: «Non si combatte il narcotraffico uccidendo le persone». Il presidente Petro: «Gli americani hanno attaccato nostri concittadini»

Clima sempre più teso fra Washington e Bogotà. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha dichiarato che l’ultima nave attaccata dagli Stati Uniti la scorsa settimana nei Caraibi era colombiana, con a bordo cittadini colombiani. Si trattava del quarto raid militare statunitense nella regione, dall’inizio di settembre, tutti mirati a imbarcazioni che l’Amministrazione Usa sostiene «collegate» ai cartelli della droga. «Si è aperto un nuovo scenario di guerra nei Caraibi, che deve essere fermato», ha detto il leader sudamericano, che ha accusato gli Stati Uniti di condurre «una guerra non contro il narcotraffico, ma per il petrolio» e «un’aggressione contro l’America Latina e i Caraibi». In visita a Bruxelles, giovedì Petro ha poi chiesto al governo del Qatar di continuare a mediare per smantellare il Clan del Golfo – il «principale» gruppo che «guida il traffico di cocaina dalla Colombia» – e per fermare gli attacchi Usa nelle acque dei Caraibi. 
Altrettanto ferma la sua ministra degli Esteri: «Da quando le navi militari Usa si sono stabilite in acque internazionali al largo dei Caraibi, il nostro governo denuncia che si tratta di una minaccia per tutta la regione, e che la respingiamo con forza», ha confermato al Corriere Rosa Yolanda Villavicencio, che in visita ufficiale a Roma ha partecipato alla XII Conferenza Italia-America Latina e Caraibi, organizzata dal ministero degli Affari esteri italiano.

Trump ha detto di recente che l’operazione antidroga statunitense nei Caraibi entrerà in una nuova fase via terra. Esiste davvero il pericolo di un conflitto armato nella regione? 
«Certo. Non è accettabile alcuna interferenza o intervento che incida direttamente sulla sovranità dei Paesi. La presenza militare Usa è preoccupante perché non è compatibile con le interdizioni territoriali. La cooperazione e la collaborazione militare esistono da tempo. Ci sono stati molti sequestri di droga, e di grandi dimensioni, in acque internazionali, ma non c’è stato bisogno di uccidere nessuno. Queste persone sono state arrestate ed estradate, hanno scontato integralmente la loro pena. Se ci fosse davvero un intervento via terra, sarebbe altamente riprovevole e costituirebbe un’interferenza e un attacco alla sovranità dei Paesi che respingiamo. Per ora sono solo parole, minacce verbali, ma non sappiamo quanto tempo ci vorrà prima che le parole diventino fatti. Siamo molto attenti e molto preoccupati».
Avete paura di un attacco diretto in Venezuela? 
«Sì, è quello che ci aspettiamo. È una minaccia latente, e noi continuiamo a sostenere di essere una regione di pace. I problemi del Venezuela devono essere risolti dai venezuelani. Magari sarebbe possibile una mediazione dei Paesi della regione, come è successo in passato. Anche l’opposizione al regime venezuelano è contraria a qualsiasi tipo di interferenza esterna perché destabilizzerebbe la regione».
Le relazioni tra Colombia e Stati Uniti in questo momento sono ai minimi storici. Se si arriva a una rottura, con chi dialogherà la Colombia economicamente e commercialmente? Con la Cina?
«Siamo costretti a creare strategie di collaborazione con Paesi diversi dagli Stati Uniti. La Colombia è impegnata in una diversificazione delle relazioni».
Parlando di narcotraffico, è un tema importante anche per la cooperazione Italia-Colombia. Si può migliorare?
«Sì, certo. Il coordinamento nella lotta al narcotraffico è un processo che punta alla sostituzione delle colture, ma noi pensiamo che anche nei Paesi in cui si consuma la droga, sia necessario un maggiore sforzo: se il consumo diminuisce, diminuisce anche la domanda di droga. In Colombia, sulla base dell’attuazione degli accordi di pace, che includono una riforma rurale integrata e la necessità di spostare le economie illecite verso economie lecite, stiamo cercando di garantire che tutte le famiglie che vogliono sostituire le colture possano effettivamente farlo attraverso un sostegno reale, con supporto tecnico, fornitura di sementi e accompagnamento  affinché le nuove colture siano sostenibili economicamente. Colture come caffè, cacao e mais possono contribuire alla sovranità alimentare e a consolidare l’economia».
E’ un settore in cui la Cooperazione italiana sta dando un contributo? 
«Sì, riconosciamo il grande contributo della cooperazione italiana, vogliamo approfondirlo e consolidare molti di questi processi, perché il fondamento della pace risiede nella nostra capacità di distribuire la terra, garantendo ai contadini condizioni di stabilità. Per questo, il governo ha anche distribuito 650.000 ettari di terra e formalizzato quasi 2 milioni di ettari. L’economia colombiana è cresciuta e continua a crescere, soprattutto nel settore agricolo. Siamo il Paese leader nei caffè speciali e vogliamo anche che questo si traduca in una posizione nel mercato europeo. Perché, in definitiva, questo significa reddito e stabilità per le famiglie contadine».




















































9 ottobre 2025