Distesa su un letto che prende fuoco, mentre sfoggia un body metallico e una tigre spunta da dietro la spalliera: è così che Annalisa Scarrone, in arte semplicemente Annalisa, si presenta sulla copertina del suo nuovo album Ma io sono fuoco, da oggi nei negozi e sulle piattaforme di streaming. Quarant’anni compiuti lo scorso agosto, la cantante ligure – è cresciuta a Carcare, in provincia di Savona – torna a due anni da E poi siamo finiti nel vortice con undici canzoni che guardano al pop Anni 80, tra sintetizzatori, tastiere e batterie elettroniche. L’album è stato anticipato dai singoli Maschio e Piazza San Marco (in duetto con Marco Mengoni, uno dei due ospiti del disco: l’altro è Paolo Santo, pseudonimo di Paolo Antonacci, figlio di Biagio e da anni autore per Annalisa, con la quale canta Avvelenata). Il 16 novembre partirà il tour nei palasport che farà tappa a Roma il 21 e 22 novembre al Palazzo dello Sport (ma lunedì la cantante incontrerà i fan alle 16 agli Horti Sallustiani in Piazza Sallustio). Su Sanremo temporeggia: «In questo momento non è nei piani. Magari nel 2027». Vedremo.
Cosa simboleggia quella tigre, Annalisa?
«È la mia voce interiore, che si fa domande».
Quali?
«Le cose alle quali mi capita di pensare di più sono legate al tempo che passa».
Le fa paura?
«Molto. I 40 anni me li sono vissuti malissimo. Sentivo l’ansia da prestazione. Volevo chiudermi in casa, anziché festeggiare. Alla fine mi sono regalata un pranzo con i miei genitori e mio marito (Francesco Muglia, vicepresidente del marketing di Costa Crociere, sposato nel 2023, ndr)».
Cosa si aspetta dai quaranta?
«Spero di continuare a vivere la musica intensamente, come ho fatto finora».
Pensa solo alla musica, Annalisa?
«È il mio lavoro: entra in maniera imprevedibile e continuativa nella mia vita».
Solo negli ultimi cinque anni ha fatto tre dischi di inediti, pubblicato quindici singoli, fatto tre tour, partecipato due volte al Festival di Sanremo: non ha esigenza di prendersi una pausa?
«Terminata la promozione di questo disco lo farò. E sarà lunga».
Quanto?
«Non lo so. Fermarsi per due anni oggi è impensabile, per come è accelerato il mondo della musica. Spero rallenti».
Che vuol dire per Annalisa “essere fuoco”?
«Avere la capacità di trasformarsi».
Quando si è trasformata Annalisa, artisticamente?
«Continuamente. Lentamente. Disco dopo disco».
In questo in cosa sente di aver fatto un passo avanti?
«Nella ricerca sulle parole. Non mi piace dire le cose attraverso giri di parole. Nelle canzoni parlo come se parlassi a un’amica».
“Vorrei un bisturi / io cambio / non cambio / io sono / bellezza nucleare / Oppenheimer emozionale”, canta in “Io sono”. Solidarietà all’amica.
«Mi prendo in giro e ironizzo sul periodo storico, in cui trionfano le apparenze».
E che c’entra Oppenheimer?
«È una battuta: dico “bellezza nucleare, Oppenheimer emozionale”».
Quali sono gli “stilemi lessicali”, per citare la sua presentazione, con i quali gioca in “Maschio”?
«”Se fossi un maschio mi venderei” è uno slogan importante, che richiama Renato Zero, Viola Valentino. Per un uomo è molto più facile affrontare temi come la sfera sessuale e mostrarsi più libero in certe situazioni. Se sei donna, invece, sei sottoposta al giudizio altrui. C’è disparità di genere anche in questo. Nel disco mi mostro ancora più disinibita ed esplicita che in passato. Volevo essere più pungente».
Come vive la sessualità?
«In maniera libera. Con mio marito non mi manca niente, sotto questo punto di vista. È importante trovare qualcuno che ti comprenda».
“Ho baciato una ragazza, volevo sperimentare”, raccontò due anni fa. Come l’ha presa suo marito?
«Mi riferivo a esperimenti fatti in passato: è tutto caduto in prescrizione».
A Vanity Fair ha detto di essersi ispirata a Raffaella Carrà: “La gente credeva di canticchiare delle canzoncine, invece i contenuti erano di valore”. Quali sono quelli che veicola con questo disco?
«La ricerca di empatia: ce n’è bisogno, oggi. Ma ci sono anche tematiche più cupe: in Avvelenata canto di “caramelle che non ti tengono su”. Sono, naturalmente, i farmaci che prendiamo per stare meglio. Il tema è quello della salute mentale».
Psicofarmaci, insomma. Ne ha mai assunti?
«No. Mi fanno paura, quelle cose lì. Ma volevo comunque toccare questo argomento».
Sui social non si espone su tematiche di attualità. È perché non sono quelli i luoghi deputati a farlo?
«Mi espongo nella misura in cui mi sento a mio agio. Se non mi sento abbastanza competente su un tema, tengo un profilo più basso».
Su Gaza come la pensa?
«Parlarne è doveroso. Non ci sono opinioni diverse che tengano. Si parla di vite umane. Invece mi ritrovo a leggere cose senza dignità».
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