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Nan Goldin proPal. All'Hangar Bicocca l'artista e attivista della controcultura (troppo blindata)
AArte e design

Nan Goldin proPal. All’Hangar Bicocca l’artista e attivista della controcultura (troppo blindata)

  • 10 Ottobre 2025

di Francesca Pini

Alla presenza della nota artista americana s’inaugura la quarta tappa di questa grande retrospettiva dopo Stoccolma, Amsterdam, Berlino. Otto i padiglioni con i suoi lavori storici, ma anche nuove opere. Di forte impatto

L’indifferenza non si addice certo a Nan Goldin, il cui attivismo è una condizione permanente, ed è la necessaria chiave di lettura anche per capire il suo mondo e la controcultura nella quale è vissuta fin da giovane, documentandone relazioni, club underground, eccessi. Il prologo che l’artista americana ha voluto mostrare a un’affollata platea della stampa – all’Hangar Bicocca dove si tiene la prima retrospettiva del suo lavoro di filmaker – è stato proiettare un lavoro su Gaza in cui l’artista ha riunito foto e video fatti da persone che vivono in prima persona questa tragedia umanitaria (una bambina di cinque anni, battendosi il petto dice: la mia anima è stanca di questa vita, molto stanca) e che lei, nata in una famiglia ebrea, definisce senza mezzi termini un genocidio. E lo dice da oltre un anno e ciò le è valso l’ostracismo in diversi ambienti. questo è il prologo che lei ha voluto mostrare qui, di un momento storico, hic et nunc. E riguardo a questa pace che si profila è altrettanto chiara. «Una pace fittizia che serve solo a Trump».

Il discorso su questo video da lei mostrato poteva andare oltre, con le domande in privato alle quali Nan si era resa disponibile a rispondere dopo la proiezione, nelle due ore successive, ma tutto l’entourage, l’ha prontamente blindata (body guard compresi), di fatto precludendo alla stampa di avvicinarla a tu per tu, per farle queste necessarie domande in privato, aderendo a quanto lei aveva pubblicamente espresso davanti alla platea. Il silenzio seguito alla proiezione, e il non porre domande in pubblico, era tutt’altro che segno di distacco, piuttosto la necessaria riflessione su quanto visto, sul valore dell’immagine, in quanto icona. Questa è proprio la lezione che ci viene dall’opera di Nan Goldin. E anche in The Other Side (1992/2021), in cui l’artista racconta il mondo dei transessuali (con i quali  ha vissuto, ammirando la bellezza delle Drag Queen e il coraggio di rendersi visibili in un contesto sociale stigmatizzante) nei titoli di coda l’ultima frase di ringraziamento è “in solidarietà con il popolo di Gaza, del West Bank e del Libano”.



















































Nan Goldin

The Other Side è uno dei lavori presentati nella mostra di Nan Goldin, This will not end well (curata in Hangar Bicocca da Roberta Tenconi con Lucia Aspesi, dall’11 ottobre al 15 febbraio 2026) alla sua quarta tappa qui a Milano, la prossima al Grand Palais di Parigi. Sono otto i padiglioni che accolgono il più grande corpus di slideshow mai presentato, e questi moduli sono luoghi del raccoglimento, non solo per concentrarsi sul visivo ma anche sull’ascolto delle musiche, parte indissolubile del lavoro, con i versi delle canzoni davvero sovrapponibili alle immagini. Nel percorso, il primo incontro con l’opera di Nan Goldin è con la storica The Ballad of Sexual Dependency (1981/2022), costantemente aggiornata e rieditata, composta da 700 ritratti di persone, amici e amanti della sua community, colti nell’intimità ma anche nelle contorsioni della vita, tra notti furiose, Aids e droghe. Ed è di overdose che morirà la top model nera Donyale Luna nel 1979, a cui va il suo ricordo in Sirens (2019/20). 

Nella recente Stendhal Syndrome del 2024, riferimento alla sindrome di spaesamento e di vertigine che si può provare davanti alla bellezza delle opere d’arte, Nan Goldin paga un tributo all’arte classica, al Rinascimento, alle Metamorfosi di Ovidio, alternando a immagini di Canova, Caravaggio, Tiziano, le figure di suoi amici e amanti che rimandano a pitture e sculture. Tra i lavori preferiti dalla stessa artista Memory Lost, sulla dipendenza dalle droghe e You Never Did Anything Wrong, girato in Super 8 e 16 mm «il più astratto e il lavoro più toccante di questa mia mostra, basato su una credenza di molte antiche tribù ossia che se avviene un eclissi solare totale è perché gli animali hanno rubato il sole. Un mondo senza umani, ma con tutte le altre specie. Ed è quello che mi auguro attualmente, per il futuro», afferma Nan Goldin. Molto differente il registro anche nell’opera Fire Leap (2010/2022), in cui l’artista fotografa i suoi figliocci e i figli degli amici, includendo anche dei piccoli nudi, altri accorgendosi di essere fotografati si atteggiano.

Nel Cubo c’è l’ultima “stazione”, la più privata e dolorosa, di questo intenso percorso nella creazione di Nan Goldin che qui rappresenta sua sorella maggiore Barbara, a figura intera, sotto forma di scultura di cera, adagiata in un letto, e tenuta ferma dalle mani di due uomini. Barbara si tolse la vita a 18 anni e Nan, a soli undici anni, subito affrontò il trauma della vita. Sospesi sopra al letto  un trittico formato da tre schermi, con le immagini della storia di Santa Barbara (martire, uccisa dal padre) e poi anche atti di autolesionismo di Nan, con le bruciature di sigaretta sulle braccia. Lontana, sulla sinistra, una figura maschile di cera, il padre di loro due. La dedica è a tutte le persone la cui ribellione non può essere istituzionalizzata.

10 ottobre 2025 ( modifica il 10 ottobre 2025 | 11:41)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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