L’ex attaccante al Festival di Trento: “Quell’anno in seconda serie ogni trasferta era una festa. La Champions persa nel 2003 il rammarico più grande, il Milan era meno pronto di noi”
Giornalista
10 ottobre – 18:16 – MILANO
“Quando arrivi alla Juve sei felice, quando te ne vai piangi”. Elegante e in gran forma, malgrado si sia ritirato da una decina d’anni, David Trezeguet al Festival dello Sport di Trento gioca in casa, per l’alto tasso di juventinità presente in sala. Ma il calciatore straniero che ha segnato più reti in bianconero è anche bravo a conquistare la platea. Quando racconta, ad esempio, che si sente ancora ambasciatore della Vecchia Signora in giro per il mondo o quando ricostruisce la sua decisione di rimanere anche in B nel sofferto post Calciopoli: “Avevo un debito di riconoscenza con il club per il contratto rinnovato nel 2004 e poi andare in trasferta in B era una festa ad ogni partita. Il popolo della Juve ci è stato vicino”.
scuola—
Si racconta a tutto campo l’argentino di radici francesi, a cominciare dalla giovinezza a Buenos Aires, “dove si giocava per strada ma mia madre imponeva buoni voti a scuola, altrimenti niente calcio” e dal passaggio da ragazzino al Monaco, dove “Tigana è stato più di un allenatore, mi ha formato per il calcio europeo, mentre Henry era un esempio e la persona che mi ha fatto capire la mentalità francese e con Marco Simone ci completavamo. Ma alla fine conta il gol, che è il senso del gioco”. Seguono i due titoli nella Ligue e poi i successi con la generazione francese del Mondiale 1998 e dell’Europeo 2000, “vittorie arrivate all’inizio della mia carriera, al contrario di quanto accade a molti giocatori, che vincono trofei importanti con più anni alle spalle. Il vero peccato è non essere riuscito a disputare un Mondiale in più”.
mistica—
Ma il discorso torna sempre sulla Juve, per la gioia di chi in sala ha portato sciarpa e maglietta. Significativo il racconto dell’impatto con Torino, nel 2000, dopo il golden gol che costa il primo posto proprio all’Italia a Euro 2000. “L’inizio non fu facile, ero quello che avevo fatto perdere gli azzurri e non ero coccolato come al Monaco: c’era uno spogliatoio con 25 internazionali, gente come Del Piero, Inzaghi, Fonseca e in campo vanno in undici. Ricordo la mistica del Comunale, il campo senza erba, la preparazione fisica, tutti in silenzio. Ho capito che alla Juve conta solo vincere”. E le vittorie non mancano, con gli scudetti dell’inizio del decennio 2000, le scommesse vinte sul numero di gol fatti e la sensazione “di essermi legato a un club unico al mondo”, con compagni come Del Piero, “con il quale mi capivo a occhi chiusi”.
rammarico—
Trezegol non dimentica però le delusioni, soprattutto la finale di Champions a Manchester nel 2003 contro il Milan, “il più grande rammarico della mia vita, anche perché i rossoneri erano psicologicamente meno pronti di noi. E la Juve che arriverà dopo non avrà la forza per puntare a una finale europea”. Anche se Trezeguet, racconta, dopo una telefonata di Capello (“che pure avrebbe voluto Vieri”) decise di restare in bianconero nonostante il corteggiamento del Barcellona. Dopo il 2010 il divorzio, però, arriva e il bomber prosegue la sua carriera tra Spagna, Emirati e Argentina. Ma bastano le espressioni del suo volto per capire che il cuore è rimasto altrove e non solo perché “per me il calcio è festa della gente” e negli Emirati non era esattamente così. Ripete più volte la parola “serietà” pensando alla Juve anche se l’episodio che fa più sorridere la sala riguarda un altro ex bianconero come Camoranesi. “Poco tempo fa mi ha invitato a una grigliata da lui, a Buenos Aires, dice che è solo una festa per i bambini. Dopo aver mangiato, tira fuori una torta. ‘No, grazie, non prendo dolci’, rispondo”. ‘Ma è il mio compleanno’, ribatte lui. ‘Ma come, non potevi dirmelo?’. Era ed è rimasto un matto”. Applausi e cori da stadio. La gente quasi non lo lascia andare via.
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