Siamo arrivati al punto in cui anche i documentari delle celebrity sembrano scritti dagli uffici stampa. Quello su Victoria Beckham, appena uscito su Netflix, non fa eccezione: elegante, patinato, controllatissimo. Più che un documentario, le tre ore di Victoria Beckham sono un lungo comunicato stampa a mezzo video, uno spot del suo marchio di moda e beauty. E noi qua siamo stanchi di questi racconti «autorizzati», in cui la verità viene filtrata come una foto su Instagram, dove non c’è spazio per alcuna sbavatura, per alcuna ombra. Perché, anche se i publicist gioiranno, siamo sicuri che il pubblico apprezzerà?

Peccato, perché di spunti ce n’erano molti e, a leggere tra i non detti, c’era molto materiale da approfondire. L’infanzia, per esempio: la bambina timida e senza amici che voleva essere amata e vista, che ha imparato presto che «essere famosa» è un lavoro a tempo pieno. E poi la donna che ammette di aver sfiorato il baratro economico per colpa delle spese folli della sua azienda (sedie comprate dall’altra parte del mondo, cifre pazze per le piante, eccetera), e quella che parla di disturbi alimentari. Ci sono frasi che potrebbero illuminare la vita della celebrity, come quando dice: «Tutti pensavano che non potessi sentirmi dire di no: è il prezzo della celebrità». Del rapporto con il marito David Beckham emerge poco, se non la stima e l’affetto, ma poca roba.