di
Sara Gandolfi
La vincitrice del Premio Nobel per la Pace è ricercata per «terrorismo». Il giallo del sequestro. La leader liberista vive nascosta: il regime non la arresta perché non vuole una martire
«Io sarò presidente del Venezuela», aveva detto convinta a giugno, nell’ultima intervista concessa al Corriere. Clandestina nel suo stesso Paese, ricercata per «terrorismo» ma mai arrestata dall’autorità onnipresente di Nicolás Maduro, María Corina Machado comunica via zoom o telefono con il resto del mondo, una parete bianca dietro di sé, senza mai stancarsi di denunciare le «elezioni farsa» dello scorso anno, con cui il «presidente-padrone» si è auto-assegnato un terzo mandato. Sempre «profondamente grata» a Donald Trump ma anche all’«amica italiana» Giorgia Meloni «per il sostegno al popolo venezuelano».
Machado è una donna che non si arrende. Piuttosto rilancia. Molti altri leader dell’opposizione hanno scelto l’esilio. Lei, cinquantottenne figlia della ricca borghesia di Caracas, è rimasta, nascosta, simbolo e un po’ martire della democrazia in Venezuela, rifiutando di lasciare il Paese come le ha più volte proposto il governo, ormai dominato dai militari che gestiscono anche gran parte dell’industria nazionale. Per i suoi seguaci è la «Libertadora», la liberatrice. Determinata e ambiziosa, con la voce rotta dall’emozione soltanto quando ricorda i tre figli, «che non vedo ormai da due anni».
Erede di un imprenditore siderurgico e lei stessa imprenditrice di successo, con laurea in ingegneria industriale e master in finanza, Machado è entrata in politica nel 2010, eletta deputata all’Assemblea nazionale con un numero record di voti. Dopo quattro anni, il regime chavista l’ha estromessa dall’incarico, ma lei non ha mollato. Come leader del partito ultraliberista Vente Venezuela, ha continuato a criticare le tendenze socialiste che dominano il Venezuela dal 1999 e che con Maduro si sono fatte via via più autocratiche. «È un criminale, che per restare al potere ha trasformato il Venezuela in un santuario per le attività dei cartelli della droga, della guerriglia, di spie russe e terroristi islamici», ha ripetuto al Corriere.
La magistratura, dominata da giudici affini al governo, le ha impedito di candidarsi alle presidenziali del 2024, benché avesse ottenuto oltre il 90% delle preferenze alle primarie del fronte d’opposizione. Il Consiglio elettorale ha poi proclamato Maduro vincitore con il 52%, senza presentare alcuna prova dell’esito degli scrutini. L’opposizione, al contrario, ha pubblicato online i fogli di conteggio dell’85% delle macchine per il voto elettronico, dimostrando che il diplomatico Edmundo González, candidato al posto di Machado, aveva vinto con un margine di oltre due a uno. Diversi Paesi, tra cui Usa e Italia, lo hanno riconosciuto come legittimo presidente.
Ne seguirono enormi manifestazioni di protesta, represse con un bilancio di almeno 28 morti, 200 feriti e 2.400 arresti per «terrorismo». Soltanto dopo diversi mesi di assenza pubblica, mentre molti dei suoi collaboratori finivano in carcere o «sparivano», Machado lo scorso gennaio è tornata ad arringare la folla in piazza, alla vigilia del terzo insediamento di Maduro alla presidenza. Un gruppo armato la sequestrò per qualche ora. Un giallo mai spiegato. D’altronde, il regime sa che farla sparire, come è accaduto a molti altri avversari politici, la trasformerebbe in una vera martire, ancora più scomoda.
La repressione da allora non si è fermata. Nelle carceri languono 900 prigionieri politici, di cui circa 80 stranieri, spesso utilizzati come «merce di scambio» o di ricatto politico dal regime. Tra questi, l’italiano Alberto Trentini. «Ho sentito il suo nome ma non ne conosco la storia. Posso però dire che Maduro, da molti anni, usa i detenuti come strumento di ricatto. In cambio della loro liberazione, chiede che i rispettivi Paesi non denuncino gli orrori che accadono in Venezuela», ci ha spiegato «la Libertadora».
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10 ottobre 2025 ( modifica il 10 ottobre 2025 | 22:25)
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