“L’imputato non ha agito d’impulso né in uno stato emotivo improvviso, bensì ha pianificato i suoi delitti, in maniera minuziosa, con lucidità e determinazione”. A metterlo nero su bianco sono stati i giudici della Prima corte di Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 16 aprile hanno condannato all’ergastolo, con tre anni di isolamento diurno, Claudio Campiti per la strage di Fidene dell’11 dicembre del 2022. L’uomo aprì il fuoco durante una riunione del consorzio Valleverde in un gazebo di via Monte Giberto. Quattro le donne uccise: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis.
Le motivazioni dei giudici
I giudici hanno scritto: “Vi è stata una attività di accantonamento di munizioni necessariamente programmata nel tempo dato il numero dei proiettili rinvenuti, ottanta, ulteriori rispetto ai cento noleggiati il giorno 11 dicembre 2022, attività che va fatta risalire al mese di settembre 2022, quando Campiti aveva iniziato ad acquistare cento munizioni in luogo delle abituali cinquanta”. Inoltre, i togati hanno spiegato: “Vi è stata una chiara preordinazione delle modalità esecutive, come dimostrano le registrazioni delle telecamere installate presso il poligono di Tor di Quinto, con sottrazione dell’arma da utilizzare, ‘Glock 45’”. Pistola che Campiti “conosceva bene, essendosi più volte esercitato con la stessa”. Claudio Campiti, in più, aveva “un coltello e un pugnale da sub, inserito in un cosciale legato alla gamba, armi bianche da utilizzare in alternativa alla pistola”.
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I giudici, a seguire, hanno sottolineato: “L’imputato ha appositamente acquisito informazioni sul luogo dove si sarebbe svolta la riunione, informazioni che non gli erano state fornite direttamente ma che gli erano state comunicate circa una settimana prima da altro consorziato”. Tra le altre cose, hanno osservato, “disponeva di un mezzo con cui allontanarsi, aveva con sé denaro contante (5.700 euro), abbigliamento, documenti medicine, tutto quello che era il ‘suo mondo’; aveva, infine, per non essere rintracciato, staccato la batteria dal proprio telefono cellulare”. Con la sentenza Claudio Campiti è stato riconosciuto responsabile delle accuse contestate dai pm Giovanni Musarò e Alessandro Lia, i quali hanno svolto le indagini con i carabinieri del Nucleo investigativo: omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e di lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti.
Le condanne per la strage di Fidene
I giudici, peraltro, hanno anche condannato l’allora presidente della sezione tiro a segno mazionale di Roma a tre mesi con pena sospesa per omessa custodia dell’arma, mentre è stato assolto il dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto. Esclusi come responsabili civili i ministeri di Interno e Difesa e dell’Unione italiana tiro a segno in riferimento alla custodia dell’arma.
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Nelle 416 pagine della sentenza i giudici hanno puntualizzato: “Solo un evento fortuito e il coraggio di Silvio Paganini hanno impedito che Campiti portasse a compimento il proprio programma, tanto che nessuno si era avveduto di quanto stava accadendo all’interno del gazebo del bar “Il Posto Giusto”, sino all’allarme dato dai superstiti. Il comportamento successivo al delitto – è stato indicato – evidenzia la totale assenza di pentimento o turbamento; anche una volta bloccato a terra, Campiti manifesta rabbia nei confronti della presidente del Consorzio e di altri consorziati. Gli elementi estrinseci e sintomatici ampiamente desumibili dalle prove raccolte dimostrano che non si è trattato di un moto d’ira momentaneo ma del risultato di un piano criminoso elaborato con anticipo e portato a compimento con fermezza d’intenti. Pertanto – è stato rimarcato – la sussistenza dell’aggravante della premeditazione risulta ampiamente provata e giustificata. Non vi è incompatibilità tra il disturbo della personalità rilevato e la premeditazione, essendo rimaste inalterate le capacità di giudizio e critica, non potendo così ritenersi il proposito criminoso frutto esclusivo della alterazione di personalità del Campiti”.
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L’allora presidente della sezione tiro a segno nazionale di Roma, hanno scritto nelle motivazioni della sentenza, “all’epoca rivestiva una duplice posizione di garanzia: quella di presidente del Poligono, con il conseguente compito di assicurare con ogni diligenza la custodia delle armi di proprietà del poligono nell’interesse della sicurezza pubblica e quella di direttore della stessa struttura; quindi, di responsabile dell’efficienza, manutenzione e sicurezza delle infrastrutture e degli impianti di tiro. Questi ha, pertanto, colposamente omesso di attuare ogni misura di controllo atta a prevenire, dopo il ritiro dai rispettivi locali, l’uso incontrollato di armi e munizioni da parte del tesserato in possesso soltanto di dima (idoneità maneggio armi)”.
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Per i giudici, all’interno del poligono non erano state adottate “misure rappresentate in primo luogo dalla consegna delle armi noleggiate direttamente sulla linea di tiro e, in secondo luogo, dalla instaurazione di un canale comunicativo tra armeria e linea di tiro, tra loro, come già detto, pericolosamente distanti ovvero della previsione di un controllo effettivo e contestuale a distanza attraverso telecamere di sicurezza nonché infine, del controllo dei veicoli in uscita dalla struttura prima delle suddette verifiche, potendosi invece convenire sull’inopportunità di installare metal detector che sarebbero stati attivati dal transito di qualsiasi oggetto metallico inoffensivo di comune uso dei frequentatori ovvero dalle pistole d’ordinanza, e il cui allarme sarebbe stato inutile non disponendo gli addetti al Tiro a Segno di poteri di polizia legittimanti richieste di esibizione o perquisizioni personali o locali. La mancata adozione di tali misure – hanno terminato i giudici – consentendo la possibilità di utilizzazione extra moenia della pistola ‘Glock’ di proprietà del Poligono, ha rappresentato la concretizzazione del rischio che quelle regole cautelari miravano ad evitare, in funzione di prevenzione dei reati e di protezione dell’incolumità di terzi all’esterno del Tsn, parimenti convenendosi sull’assunto dell’ineliminabilità in assoluto sulle linee di tiro di gesti auto od eterolesivi”.