TRE CIOTOLE. Nelle sale
C’è ancora spazio nel nostro cuore indurito per un melodramma a regola d’arte, dove un lui, Antonio, e una lei, Marta, che si amano davvero, anche quando litigano dopo una serata imperfetta, di punto in bianco decidono (lui) di sospendere i sentimenti come se ci fosse bisogno di una scossa per rigenerarli e (lei) di lasciarsi andare a un’esistenza che è una sofferta indagine sulle disconnessioni di una coppia? «Dov’è finito tutto quell’amore, quei momenti?», si chiede Marta. Sembra impossibile da accettare persino a noi che stiamo a guardare, anche perché Antonio se n’è andato in fretta, forse per il bisogno di respirare di fronte all’ansia crescente di lei. Presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival, Tre ciotole è un adattamento dell’ultimo libro di Michela Murgia Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi. La catalana Isabel Coixet, alla diciottesima regia, asciuga il romanzo, costruito a episodi, e lo centra sulla vicenda di Marta e Antonio, la più incisa e spendibile.
Marta e Antonio stanno insieme da sette anni, ohi ohi, e abitano a Trastevere, a pochi passi dal ristorante di cui lui è lo stimato chef. Marta invece insegna ginnastica in un liceo, con un passato da sportiva ad alto livello. I due scambiano la routine per una disconnessione amorosa definitiva. Sono due esseri umani che stanno cambiando e non riescono ad adeguarsi. Dopo lo strappo, la vita di Marta diventa un percorso di quieto dolore: notti insonni e giorni di solitudine, l’aggressione dei ricordi è struggente. E a nulla valgono i richiami della disinvolta sorella Elisa (Silvia D’Amico), il tenero corteggiamento di un collega professore (Francesco Carril) o ancora i dialoghi (consapevoli) con il cartonato di un idolo pop coreano. I ricordi bruciano anche per Antonio, confortato da una cameriera lesbica (Galatéa Bellugi) e dal socio in affari. In lontananza, l’amore di Marta e Antonio sembra assestarsi. Ma i continui malesseri di lei gettano nuove ombre sul rapporto.
Il tono sommesso, la narrazione per vuoti e pause, la sobrietà della messinscena accompagnano il dramma che si tramuta via via in un trattato emozionale sulla vita di coppia. La nostalgia toglie il respiro a Marta, il tempo che scorre le sembra una condanna. Roma con le sue malinconie diventa un personaggio. E così il cibo: strumento di lavoro per Antonio, che nel costruire pietanze trova una ragione di vita ed è capace di trasformare una tartare in un hamburger per un cliente americano, e invece piccolo, superfluo complemento vitale per Marta, che ha incanalato la sua esistenza verso un’unica direttrice: l’amore per Antonio.
Coixet eccede forse per simbolismi in una storia che ha una versante naturalistico spontaneo: il volo degli storni, l’acqua immobile del Tevere e le pedalate di Marta, i cieli dai colori tenui e il senso di solitudine nelle stanze addolorate, gli sguardi smarriti e il conforto degli abbracci. E tuttavia mantiene un apprezzabile rigore nello stile e nello sviluppo drammatico, così come nella scelta dei temi: la sottrazione affettiva, il valore del tempo che resta, le priorità che possono cambiare, l’imprevedibilità (e l’imperfezione) del cuore. Tutto marcia grazie a due interpreti maturi e sensibili come Alba Rohrwacher ed Elio Germano. Lei eterea e addolorata. Lui perso nel completo marasma di un amore che gli sfugge di mano.
TRE CIOTOLE di Isabelle Coixet
(Italia-Spagna, 2025, durata 120’, Vision Distribution)
con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Francesco Carril, Silvia D’Amico
Giudizio: 3 ½ su 5
Nelle sale