di
Daniele Sparisci
Paolo Barilla, vice presidente dell’azienda di famiglia ed ex pilota spiega l’accordo con la F1: «La Formula 1 senza la Ferrari non reggerebbe»
Paolo Barilla, vicepresidente del gruppo di famiglia, ex pilota (ha vinto anche la 24 Ore di Le Mans), porta la pasta italiana sulle tavole della Formula 1. Sperando un giorno di organizzare una cena di gruppo con i piloti. L’accordo è stato annunciato in Bahrain, Barilla diventa official partner del massimo campionato automobilistico.
Che cosa può dare la F1 a Barilla e che cosa potete dare voi a loro?
«La F1 è un ambiente di grande passione ad altissima tecnologia, caratteristiche che ci piacciono. La collaborazione è uno stimolo e ci obbligherà a migliorarci sotto tanti punti di vista. Dovremmo riuscire a mantenere il ritmo in un ambiente veloce che guarda sempre al futuro. Ci consentirà di guardare il mondo che verrà, per capire la nostra evoluzione nel prossimo decennio: culture, abitudini alimentari diverse, abbiamo messo l’asticella molto in alto».
Per arrivare dove?
«Il cibo italiano deve portare gioia, deve essere il migliore del mondo in un contesto di cambiamenti di consumo, costume e socialità. Penso per esempio ai pasti veloci, all’uso del delivery, lo spazio dell’innovazione è grande e ci intriga. Essere in F1 significa abbracciare sfide e vincerle».
Com’è nata l’idea di entrare in F1, che poi per lei è un ritorno?
«Non è mia ma l’ho condivisa subito. È nata da discussioni interne sugli aspetti che riguardano l’innovazione del prodotto. La F1 gira in una ventina di Paesi, quelli asiatici hanno una struttura dei pasti molto differente dalla nostra e noi dobbiamo imparare tanto. Dopo una prima fase nella quale abbiamo proposto il prodotto tipicamente italiano all’estero, nella seconda fase dobbiamo innovare e portare qualcosa di diverso. Perché l’Italia è grande esportatrice di storia, cultura e tradizione e questi sono gioielli da custodire. Ma c’è anche il mondo che verrà: è molto rapido e va capito per comprendere le aree di miglioramento».
Inizia il Gran premio della pasta.
«Già, mi mette quella giusta emozione mista ad ansia. È come essere sulla griglia di partenza di un Gp, e adesso bisogna guidare. Per cui lo stimolo è identico a quello di correre, perché qui dobbiamo veramente fare una gara».
Ferrari, Stefano Domenicali, Kimi Antonelli, Andrea Stella, Pirelli, Brembo: è una F1 dove gli italiani sono protagonisti, dove è il segreto?
«La Formula 1 senza l’Italia non esisterebbe, e la Formula 1 è la Ferrari. Su questo non si discute e penso che siano d’accordo anche gli stranieri. Essere abbinato a tutto questo per noi è davvero gratificante, ripenso a un aneddoto che mi aveva raccontato Mauro Forghieri…».
Quale?
«Inizio anni 70, non c’erano le hospitality in pista. La squadra corse Ferrari andava in giro con i mezzi che aveva. Al ritorno dalle trasferte l’ingegner Ferrari controllava le note spese: cosa avevano mangiato, quanto avevano speso per i panini. Dopo il Gp di Gran Bretagna mancavano le voci sui pasti, Forghieri viene chiamato a spiegare perché di fronte allo scetticismo di Ferrari: “Non li fate più mangiare?”. Dice che i ragazzi si sono portati pentolone, pasta, formaggio, prosciutto e Lambrusco, le cose della loro terra. E hanno cucinato. Ferrari è preoccupato, pensa di aver fatto una brutta figura all’estero. E invece no: Forghieri risponde che dalle altre squadre c’era una processione di gente a chiedere un piatto di pasta. Così sono nate le hospitality, da quel giorno la Ferrari si è attrezzata con una roulotte per la ristorazione. Di lì siamo arrivati fino paddock club per gli ospiti Vip, e per noi sarà un piacere offrire una parte della storia italiana, come allora hanno fatto gli uomini della Ferrari».
Anche il tennis vive un boom, Federer è stato vostro testimonial. Perché non tornare lì anziché in Formula 1?
«Nella nostra storia abbiamo avuto persone straordinarie che ci hanno affiancato e aiutato a rendere il marchio popolare. Oggi la cosa alla quale teniamo di più è mettere persone attorno alla tavola. Sempre più pasti si consumano in maniera individuale, si è destrutturata la famiglia, le relazioni attorno alla tavola stanno sfumando. Un po’ anche in Italia, tantissimo all’estero. Eppure per noi italiani resta uno dei momenti più importanti della vita. Vogliamo riportare l’attenzione su quest’aspetto: emozioni e convivialità. Con la Formula 1 vorremmo riuscire a invitare, attrarre, intrattenere, vorremo vedere piloti rivali seduti alla stessa tavola. È un progetto che impegnerà anni, impareremo ogni giorno».
Possiede Ferrari storiche come la mitica 312B, qualche anno fa aveva invitato Hamilton a provarla. Ma non poteva essendo legato alla Mercedes. Ora che si può rinnova l’invito?
«Certo, e lo estenderei anche Leclerc. Hamilton è animato da una curiosità intellettuale straordinaria, l’ho sempre ammirato anche per il coraggio mostrato fuori dalla pista, per la coerenza. Spero che si avveri questo sogno, magari per decidere chi guida per primo tirerei una monetina».
Lei ha guidato nel 1990 con la Minardi, accanto a Prost e Senna. Verstappen e Hamilton le ricordano qualcuno di quell’epoca?
«I campioni che ho visto erano abbastanza unici. Senna aveva un cuore caldo, soffriva molto per arrivare a ottenere ciò che voleva, tirava fuori l’animosità. Mansell si scatenava quando sentiva di avere il pubblico o la squadra a sostenerlo. Piquet era umorale, tutti avevano caratteri ben definiti. Di Verstappen mi colpisce la freddezza: a Suzuka sembrava disconnesso dalle emozioni, ha una forza mentale straordinaria».
Ricordi personali, che cosa le torna alla mente dei suoi anni da pilota?
«Se dovessi giudicarmi oggi per come ero allora direi che la passione superava la razionalizzazione del mestiere, per cui con il senno di poi non ho gestito troppo bene certe situazioni. Ma sono estremamente grato a quei dieci anni di corse, idealmente ne avrei fatti altri dieci o di più. Però sono contento di aver cambiato dedicandomi a un altro mestiere che mi ha acceso una passione molto molto simile a quella che ho ancora per i motori, con questa abbinata adesso sono felice».
Per la Ferrari è un inizio difficile di stagione, è ancora così cruciale in questa F1 globale?
«Assolutamente sì, perché la Ferrari è una magia non razionalizzabile, perché affascina tutti, si vede dai tifosi che ha in giro per il mondo e dalle aspettative: è una squadra che ha sempre reagito molto bene e ha sempre funzionato. Enzo Ferrari l’aveva fondata sul suo carattere e sulla personalità, caratteristiche che l’hanno resa grande. La Ferrari in F1 resta fondamentale: se non ci fosse più la F1 cadrebbe».
11 aprile 2025 ( modifica il 12 aprile 2025 | 00:59)
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