Quanta Italia ci sarà nel futuro della nuova Gaza? È la domanda che campeggia ai piani alti del governo mentre sale l’attesa per il summit della pace in Medio Oriente, domani pomeriggio al Cairo. Giorgia Meloni, che al tavolo egiziano avrà un posto al sole vicino a Donald Trump, il padrone di casa Al Sisi e i principali leader europei, ha preparato con i suoi consiglieri la trasferta. E in contatto costante con i ministri impegnati sul dossier – anche ieri ha sentito Antonio Tajani e Guido Crosetto – inizia ad appuntare il piano italiano per la Striscia. Ospedali per curare i palestinesi, sminatori e artificieri per rimuovere mine e bombe inesplose, Carabinieri in campo per addestrare le forze di polizia locali. E insieme, un posto nel “Board della pace” accanto al presidente americano e ai leader che hanno fatto da “broker” dello storico accordo fra israeliani e Hamas, fra loro l’ex premier britannico Tony Blair.
I contatti
Andiamo con ordine. Sono ore di mobilitazione per la Difesa italiana, decisa a dare un contributo alla stabilizzazione della Striscia post-conflitto. L’Italia, su pressing americano, è pronta a mettere a disposizione un contingente di Carabinieri per addestrare le forze di polizia palestinesi. Si partirà dalla missione a Gerico ingrossando le fila di un avamposto ridotto all’osso durante i combattimenti. E lo stesso vale per Rafah, a due passi dal valico dove dovranno tornare a fluire gli aiuti internazionali. «Lì al momento ci sono solo otto Carabinieri» ha detto ieri al Tg1 il Comandante generale Salvatore Luongo. Ma i numeri sono destinati ad aumentare. Si parla di almeno militari dell’Arma schierati a Gaza e nei territori palestinesi nei prossimi mesi. Riprende Luongo: «Da novembre 2024 abbiamo inviato un team di specialisti, circa 12 unità e c’è la possibilità che questo impegno possa aumentare nel tempo tanto da pensare anche a un dispiegamento di maggiori forze, con modelli validati nel nostro centro di eccellenza a Vicenza, il Coespu, e secondo i lineamenti che ci sono stati forniti dall’Onu». Oltre all’Arma, dalla Difesa dovrebbe arrivare un via libera, ovviamente una volta che la tregua si sarà consolidata e previo semaforo verde degli alleati, a un contributo del Genio militare italiano. Che può fare la differenza, spiegano fonti qualificate, inviando a Gaza sminatori e artificieri insieme a squadre cinofile. Sulla via del ritorno alla normalità di milioni di palestinesi, infatti, si stagliano centinaia di IED (Improvised explosive devices). Non le tradizionali mine, disseminate ad esempio da Hezbollah in Libano, ma ordigni telecomandati a distanza piazzati dai miliziani di Hamas sotto i cumuli di macerie per sorprendere i soldati dell’Idf. Un incubo che ora incombe sui civili in pellegrinaggio verso le case abbandonate, o quel poco che ne resta. Serve cautela. Crosetto e Meloni hanno sposato la linea prudente e aspettano di avere chiare garanzie e regole di ingaggio. L’esperienza recente della missione italiana Unifil in Libano, sfiorata a più riprese da ordigni e razzi israeliani, non è incoraggiante. Anche per questo la premier preferirebbe che la Forza internazionale di sicurezza architettata dai Paesi arabi avesse il cappello delle Nazioni Unite. Poi ci sono altri fronti. La ricostruzione, ad esempio.
Il dossier italiano
I primi contatti tra Palazzo Chigi e alcuni grandi gruppi industriali che possono dare un contributo di rilievo sarebbero già stati avviati. E una “mappa” da cui partire per risollevare Gaza rasa al suolo da due anni di guerra è contenuta in un dossier dell’Onu sulla ricostruzione a cui hanno partecipato due ricercatori italiani dell’Università Iuav di Venezia. Il progetto, co-finanziato con 5 milioni di euro, prevede la costruzione di «cellule abitative modulabili ed estendibili» per i gazawi sfollati. E insieme mette a punto lo sviluppo di «tecnologie per la realizzazione di strutture modulari leggere realizzabili in tempi brevi e in quantità significative». Ci vorrà tempo. Arriverà il momento poi, spiegava ieri il sottosegretario Alfredo Mantovano, di «formare la futura classe dirigente» palestinese, «più utile che evocare quasi in modo ossessivo il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina».
Ma forse l’impegno più concreto da parte italiana, e facilmente misurabile, arriverà sul piano sanitario. Un team della Cooperazione internazionale alla Farnesina è già partito alla volta di Amman e Karak, in Giordania, per un sopralluogo dei due ospedali che faranno da hub per curare in loco i palestinesi feriti, mentre un secondo livello di assistenza sarà fornito all’ospedale italiano del Cairo. Sono ore di contatti frenetici per la diplomazia italiana. Meloni si prepara allo scatto storico del Cairo e non si escludono contatti a breve con l’inquilino della Casa Bianca che ci ha messo la firma. Mentre sale il pressing (e l’irritazione) dell’Ue sugli americani per avere un posto al tavolo egiziano insieme all’italiana, Macron, Merz , Starmer e Sanchez. Ultimo giorno di preparativi a Roma – stasera la premier potrebbe vedere i vice e i capi della coalizione per un vertice sulla Manovra – poi in volo sul Mediterraneo. Ci sarà l’Italia al Cairo. E forse anche nel futuro di Gaza e della Palestina.
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