di
Greta Privitera

Lui, ferito, era sopravvissuto. Ha lasciato scritto: «Penso solo a lei, scusatemi». Anche la madre era morta suicida

DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – «Sono vivo, ma dentro di me è tutto morto»: Roei Shalev si è suicidato. Lo ha fatto come lo fece sua madre una settimana dopo il 7 ottobre. Anche per lei tutto quel dolore era troppo. Venerdì sera, Roei ha preso una tanica di benzina e si è dato fuoco dentro l’auto, vicino allo svincolo di Odim. «Non arrabbiatevi con me, vi prego. Nessuno mi capirà mai, perché non potete farlo, e va bene così. Voglio solo che questa sofferenza finisca», ha scritto qualche attimo prima, sui social. 

La sofferenza di cui parlava è sopravvivere al ricordo della fidanzata uccisa dai terroristi di Hamas. Quel sabato che ha sconvolto Israele, Roei e Mapal Adam ballavano felici al Nova Festival, al confine con Gaza. Con loro c’era anche l’amica Hilly. Per sfuggire alla furia dei miliziani, si sono nascosti sotto un camion, fingendosi morti. Non è bastato. I proiettili li hanno raggiunti, colpendo lui alla schiena e lei al cuore. Nell’attacco è morta anche Hilly. Roei ha passato sette ore con i cadaveri delle due ragazze accanto, immobile, in attesa dei soccorsi.



















































In questi mesi sospesi ha provato a spiegare ai giornali la sua battaglia con il dolore che raccontava come se appartenesse a un sogno: «Alzo il bastone con il girasole il più in alto possibile, sentendomi come se stessi raggiungendo il cielo. Poi, all’improvviso, penso a Mapal e inizio a piangere a dirotto. E mentre piango più forte, mi sembra che Mapal stia tendendo la mano dal cielo».

I due giovani avevano 25 e 28 anni, convivevano da una settimana. Roei ha scritto: «In sette giorni, ho perso le tre donne più importanti al mondo: mia madre, la mia fidanzata e la mia migliore amica».

Nei mesi successivi, ha provato a stare a galla ma «flashback e ansia mi consumano e il sonno è diventato un lontano ricordo. Eppure, attraverso la terapia e il supporto incrollabile degli altri, ho trovato la forza di condividere la mia storia». 

Ma non è bastato. Shiran Maor, fondatore e presidente di SafeHeart, una Ong che offre supporto ai sopravvissuti dell’attacco terroristico, ci dice che «ieri abbiamo sentito il padre. È una famiglia distrutta, l’esempio di cosa fa la guerra oltre alle bombe». La maggioranza dei sopravvissuti è ancora immersa nel trauma, il tempo della guarigione potrebbe essere appena iniziato: «Supereranno tutto solo quando questi due Paesi vivranno in pace. Ogni sirena, ogni missile dallo Yemen o dall’Iran rimette in circolo la paura».

L’anno scorso, due giorni prima dell’anniversario del 7 ottobre, un’altra ragazza del Nova Festival si è uccisa. Si chiamava Shirel Golan. «Non è un caso che i suicidi avvengano vicino a questa data», continua Maor. In due anni il numero dei suicidi in Israele è cresciuto, non ci sono dati aggiornati sui civili, ma ci sono sui soldati tornati da Gaza: 42. Roei, raccontano, viveva nel ricordo di Mapal. Pensava di potercela fare vivendo nel suo nome. Aveva chiamato la panetteria di famiglia come lei.

12 ottobre 2025