di
Antonella Sparvoli

L’impennata riguarda i Paesi dell’Europa, compreso il nostro. I più colpiti sono bambini e adolescenti, ma anche gli anziani nelle Rsa. I sintomi sono prurito persistente, spesso intenso di notte. Dopo la diagnosi è fondamentale trattare tutti i contatti stretti

La scabbia non è una malattia tipica solo dei Paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni c’è stata un’impennata preoccupante dei casi anche nel nostro Paese e in Europa in generale.

Che cos’è la scabbia?
«La scabbia è un’infestazione della pelle causata da un piccolo parassita, l’acaro Sarcoptes scabiei — spiega Michela Magnano, membro della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) e dirigente medico dell’Unità operativa complessa dell’Ospedale della Versilia di Lido di Camaiore —. Sebbene non sia una malattia sessualmente trasmessa in senso stretto, fino a non molto tempo fa i casi che osservavamo erano limitati e spesso il contagio avveniva tramite i rapporti sessuali. Negli ultimi anni però lockdown e isolamento, spesso in condizioni igienico-sanitarie precarie, turismo di massa con aumento dei viaggi dopo la pandemia nonché il frequente ricambio di pazienti nelle Residenze sanitarie assistenziali, hanno verosimilmente determinato un aumento dei casi. I più colpiti sono bambini e adolescenti, per gli stretti contatti che hanno tra loro in ambienti comunitari come scuole e palestre. Ma l’aumento dei casi ha riguardato anche gli anziani, soprattutto quelli ricoverati nelle Rsa, oltre a senzatetto e migranti che spesso vivono in condizioni di sovraffollamento e di scarsa igiene».



















































Come si riconosce?
«La scabbia causa tipicamente un prurito intenso e persistente, che spesso inizia a livello degli spazi tra un dito e l’altro delle mani, e si fa più intenso di notte. Inoltre si possono vedere lesioni da grattamento e talora solchi lineari sulla pelle perché l’acaro scava dei cunicoli sotto la superficie cutanea dove depone le uova. Per la diagnosi in genere è sufficiente un’attenta raccolta della storia del paziente e l’osservazione della cute. Una volta fatta la diagnosi è fondamentale trattare non solo il paziente ma anche i membri del suo nucleo familiare o comunque i suoi contatti stretti, pena il rischio che si instauri un circolo vizioso e diventi più difficile debellare l’infestazione. A questo scopo, si raccomanda anche di prendere alcuni accorgimenti igienici, come lavare indumenti, lenzuola e asciugamani ad alte temperature».

Come si cura?
«Fino a poco tempo fa si utilizzava in prima linea la permetrina, mentre oggi la terapia topica preferita è il benzoato di benzile. Di recente sono stati infatti segnalati fallimenti della terapia locale con permetrina, forse per una possibile “tolleranza” dell’acaro al trattamento. Ma è possibile che al mancato successo di questo farmaco abbiano contribuito anche altri fattori come uso non corretto in termini di quantità, modalità e tempi di somministrazione, mancata o errata messa in atto di misure igienico-ambientali e le reinfestazioni qualora non siano stati trattati i contatti stretti. Per questo è importante seguire le indicazioni del dermatologo che può valutare l’opportunità di prescrivere un trattamento da assumere per bocca a base di ivermectina».

11 ottobre 2025