ROVIGO – «Ho conosciuto Rodney Smith nel 1987. Quel giorno mi chiamò in galleria per chiedermi se fossi disponibile a vedere il suo portfolio fotografico. Avrei voluto che mi lasciasse il materiale, perché non avevo tempo, ma lui insistette per mostrarmelo di persona. Durante quel primo incontro rimasi profondamente colpita: indossava guanti bianchi di cotone per non rovinare le stampe, montate su un supporto protettivo. Sfogliammo insieme la raccolta e io mi innamorai immediatamente: prima dell’artista, poi dell’uomo».
APPROFONDIMENTI
Le parole di Leslie Smolan, Executive Director Estate of Rodney Smith e moglie del celebre fotografo newyorkese, restituiscono la forza di un’emozione intatta. È il ricordo di un’avventura nata per caso, da un semplice scambio artistico, che diventa la dimostrazione di come un attimo possa cambiare il corso di una vita.
LA MOSTRA
Ieri a Palazzo Roverella è stata inaugurata la mostra “Rodney Smith. Fotografia tra reale e surreale”, visitabile fino al 1 febbraio 2026. La retrospettiva, per la prima volta in Italia, dedicata a Rodney Smith (1947 – 2016), tra i più iconici e visionari fotografi del Novecento, presenta un mondo fatto di eleganza, ironia e meraviglia che arriva e si svela al pubblico. Curata da Anne Morin, la mostra raccoglie 120 immagini che attraversano l’intera carriera dell’artista, offrendo un percorso che ne mette in luce la cifra stilistica raffinata e inconfondibile, sospesa tra rigore e leggerezza, tra realtà e sogno. Il racconto della moglie svela dettagli della personalità di Smith, che si intrecciano con il suo modo di lavorare, con la sua passione per la fotografia, con la sua sensibilità nel sentire la vita.
«Le sue immagini sembrano impostate e composte, per lui trovare il luogo in cui scattare era indispensabile. Tutto il resto veniva da sé svela Leslie Smolan . Tutti pensavano che ci mettesse molto tempo per imbastire la scena, ma non era affatto così. Conosceva la scienza degli strumenti, quindi poteva permettersi di lavorare improvvisando, trasformando il singolo momento in un attimo magico». Rodney Smith era convinto di essere divertente. Era un uomo che lanciava il sasso e nascondeva la mano. «Affibbiava nomignoli a tutti. Si svegliava alle 6 e costringeva il resto della famiglia a scendere dal letto, accendendo lo stereo a tutto volume per ascoltare Tina Turner prosegue Smolan . Aveva la capacità di sovvertire la normalità, un senso dell’umorismo che coglieva alla sprovvista, sorprendeva, sfociando in combinazioni inattese, e alla fine scuoteva e lasciava che tutti si sciogliessero in una risata. La sua bravura era appunto quella di mettere le persone in situazioni inusuali, scomode, che alla fine portavano al sorriso».
REGISTRI
Smith unisce con maestria rigore compositivo, humour surreale ed eleganza, dando vita a fotografie che evocano atmosfere teatrali e senza tempo. Le sue opere tutte rigorosamente analogiche, mai ritoccate e realizzate esclusivamente con luce naturale trasformano l’ordinario in straordinario, giocando con simmetrie perfette, spazi infiniti e proporzioni che sembrano obbedire a leggi geometriche. Non è un caso che una delle sezioni della mostra, intitolata “La divina proporzione”, metta in evidenza proprio il costante dialogo dell’autore con armonia, matematica e sezione aurea, concetti che hanno attraversato la storia dell’arte e che Smith traduce in un linguaggio fotografico di sorprendente modernità. «Rodney ha perso genitori e parenti in giovane età. Per questo, una delle prime frasi che mi disse quando ci siamo conosciuti, fu: “Sto morendo”. In realtà evidenzia Leslie Smolan aveva capito che il tempo è per noi limitato, che non bisogna perderlo. Per questo ogni elemento delle sue creazioni è così: perfetto, preciso, perché pensava che il proprio lavoro sarebbe rimasto anche quando lui non ci sarebbe stato più. Per lui l’arte è sempre stata il motore della vita, e lottava per raggiungere la perfezione».
UN MONDO POETICO
Visitare la mostra significa entrare nel mondo poetico del fotografo, un universo in cui nostalgia e leggerezza convivono, e dove i riferimenti alla pittura di Magritte e al cinema di registi come Alfred Hitchcock, Terrence Malick e Wes Anderson si intrecciano con una sensibilità profondamente personale. Ogni scatto diventa racconto e simbolo, architettura effimera e al tempo stesso eterna. «C’è più colore nel bianco e nero di quanto ve ne sia nel colore», amava ripetere l’artista, riassumendo così un approccio fatto di essenzialità, paradosso e meraviglia. Il percorso espositivo si sviluppa in sei sezioni tematiche, pensate come tappe di un viaggio in paesaggi sospesi, popolati da figure enigmatiche, silenzi e gesti minimi. Ogni sala invita a rallentare lo sguardo, a soffermarsi sulla grazia e sul mistero di immagini che aprono al visitatore un varco tra il reale e l’immaginario. Non mancano i rimandi ai grandi maestri che hanno segnato la formazione di Smith da Walker Evans a Henri Cartier-Bresson e al cinema che lo ha ispirato, fino alla filosofia che ha accompagnato la sua ricerca visiva. «Dalla sua morte, nel 2016, il mio obiettivo è sempre stato quello di far conoscere la sua grandezza in tutto il mondo conclude Smolan . Aveva un modo unico e inimitabile di osservare le cose. Nelle foto c’è spesso ironia, un sentimento esattamente opposto dal suo carattere, ansioso, solitario, timoroso. Rodney cercava di superare le proprie paure attraverso la fotografia, scoprendo se stesso e nuovi luoghi, creando l’habitat in cui avrebbe voluto stare, fatto di bellezza e precisione. Era infatti allergico al brutto».
L’evento è promosso dalla Fondazione Cariparo, in collaborazione con diChroma photography, il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e la produzione di Silvana Editoriale. Per chi ammirerà la mostra, a Palazzo Roverella c’è da ieri un’ulteriore novità: l’apertura di due nuove sale della Pinacoteca, che offrono un percorso rinnovato per valorizzare l’arte veneta. La prima è dedicata al Seicento, con capolavori barocchi che sovvertono i canoni rinascimentali privilegiando edonismo e meraviglia, anche nei soggetti sacri. La seconda sala rende invece omaggio a Mario Cavaglieri, pittore rodigino di fama internazionale, attivo tra Padova e Parigi, che tra il 1913 e il 1925 seppe conquistare il pubblico più raffinato con uno stile elegante e mondano.