di
Daniele Sparisci
Sotto accusa il coordinamento tecnico in pista, un’area fondamentale per estrarre prestazioni. Al Gp di Austin un altro esame
La stagione iniziata per vincere tutto rischia di essere ricordata come una delle peggiori della storia recente della Ferrari. Zero vittorie, terzo posto nella classifica costruttori con la Red Bull quarta a un soffio, malumore crescente e frizioni interne con 6 Gp ancora da disputare, questo weekend si corre ad Austin.
La macchina è nata male e le cure non sono servite. Ma ancora più grave, in ottica 2026 — anno chiave per tutti a cominciare da Leclerc—, è il fatto che si sia riusciti a non migliorarla insistendo su soluzioni inefficaci mentre la Mercedes è riuscita a crescere (due successi per Russell). Dagli errori si dovrebbe imparare, o almeno ammetterli, per non ripeterli. Il ricorso alle scuse, allo scarico di responsabilità (spesso sui piloti) è stato sistematico da parte di Vasseur ma non solo. Senza invocare altre rivoluzioni, che comporterebbero un lungo reset — le voci su Horner sembrano funzionali a destabilizzare ancora di più l’ambiente a due mesi dal rinnovo del team principal francese con il Cavallino—, forse basterebbero riforme mirate.
Più di qualcosa nell’asse Maranello-pista non funziona, Hamilton lo ha sottolineato, spingendo per il cambiamento di metodi e procedure. Pare che Lewis sia tornato a farlo con un’altra relazione inviata ai vertici.
Dalla Scuderia hanno smentito un confronto acceso fra Vasseur e Matteo Togninalli, coordinatore delle attività in pista, ma l’operato dell’ingegnere valtellinese, uno dei leader della catena di comando, è di nuovo in discussione. Lo era già stato dopo la doppia squalifica in Cina, ma era riuscito a riconquistare la fiducia del vice team principal Jerome D’Ambrosio e del direttore tecnico Loic Serra. Ora la situazione è precipitata: rapporti tesi all’interno del team, troppi errori nella messa a punto della vettura, nelle modifiche, nell’esecuzione dei fine settimana di gara, di qui il mistero svelato sul perché la Ferrari inizi bene nelle prove libere con le scelte di base, quelle effettuate al simulatore, per poi spegnersi nei momenti decisivi.
Si critica una gestione troppo centralizzata delle attività in pista che frena la flessibilità, emerge l’incapacità di reagire in modo veloce alle situazioni, un aspetto evidente nelle qualifiche. Dove basta un’intuizione, una comprensione più profonda dei dettagli, per guadagnare posizioni. Il tema della difficoltà di mandare in temperatura le gomme, ricorrente e irrisolto, una condizione che costringe i piloti a guidare in costante affanno. La Mercedes ha iniziato a lavorarci da tempo per estrarre potenziale da una macchina non da vertice, cercando soluzioni anche attraverso l’impiego di gomme medie in qualifica, con buoni riscontri. Anche a questo si riferiva Lewis. Si aspettava di incidere di più sulle scelte, si è ritrovato invece ad affrontare una serie richieste inascoltate e a dover lottare contro la «politica interna» per apportare miglioramenti. Vettel aveva vissuto un’esperienza simile. Con una differenza importante: il tedesco alla sua prima stagione in rosso, nel 2015, aveva una macchina limitata ma solida all’interno di una squadra attrezzata nel cogliere le occasioni quando si presentavano. Per Lewis non è così.
La SF-25 ha mostrato lacune prestazionali enormi, su tutte l’impossibilità di marciare all’altezza da terra ideale per generare carico aerodinamico adeguato. Nel corso della stagione gli interventi per evitare l’eccessivo consumo del plank, la tavoletta posta a protezione del fondo soggetta alle verifiche della Federazione, sono stati molteplici in seguito all’imbarazzante doppia esclusione di Shanghai. Ma insufficienti considerato che a Barcellona, a Budapest, ma non solo, si è dovuti correre ai ripari con soluzioni drastiche per evitare altre squalifiche dopo che i calcoli sull’usura si erano rivelati non coerenti a quelli reali.
Inoltre, nel paddock si sussurra di rapporti non sereni con la Fia che ha messo in atto controlli frequentissimi sulle Rosse, spingendo di conseguenza ad approcci ultra-conservativi in tutte le aree per scongiurare il minimo sforamento. L’area della track engineering è fondamentale tanto quanto quella della progettazione per estrarre prestazione. E sembra che sia proprio qui che risieda una delle principali debolezze di Maranello. Negli ultimi anni tanti tecnici di valore hanno lasciato il «gruppo pista» (altri lo lasceranno), inneggiavano al cambiamento e sono stati cambiati. Nel frattempo, la crisi Ferrari si è aggravata.
13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 07:05)
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