di
Marco Bonarrigo
Reportage nel paese del ciclista sloveno reduce dal quinto successo di fila al Lombardia: «Lui torna spesso da Montecarlo e lascia in sede i suoi trofei per ispirare i ragazzini»
«A Vikrce ci sono solo campi, vacche e fattorie. Il posto che cerchi è una casetta bianca a due piani all’angolo di una strada senza uscita, vicino a un’osteria. Se ci arrivi di pomeriggio non puoi sbagliare: troverai bambini in bici ovunque». Sul muro di cinta un’insegna: «Kolesarsko Drustvo Rog», Società Ciclistica Rog. Al portone una fila di ragazzini attende la lezione: come indossare il casco, sganciare i pedali, schivare le cadute. Nell’aula (originali, non copie) le bici, le maglie di leader, tutti i trofei — Tour e Giro compresi — conquistati in carriera da Tadej Pogacar, il vicino di casa, il ciclista più forte di tutti i tempi e l’uomo che sta strappando allo «straniero» Luka Doncic il titolo di personaggio più celebre di Slovenia. Invece di conservarli a casa nel Principato o in cassaforte, Tadej li tiene qui. «Lui torna spesso da Montecarlo — spiega Martin Krasek, uno dei direttori sportivi — e lascia in sede i suoi trofei per ispirare i ragazzini. Siamo a quasi 400 iscritti, al limite delle nostre possibilità».
La Slovenia ha due milioni e mezzo di abitanti e tradizione ciclistica recente ma negli ultimi dieci anni grazie a Pogacar, a Primoz Roglic (un Giro, quattro Vuelta) e Matej Mohoric è diventata capitale mondiale del ciclismo. È sulla collinetta a fianco (siamo a 15 chilometri da Komenda, la sua città natale) che Pogi è stato scoperto da Andrej Hauptman. «Facevo scouting per la federazione slovena, per trovare ragazzi promettenti — spiega Hauptman, che ha corso in Italia con la Lampre — e arrivai lì per seguire le gare dei dodicenni: al passaggio del penultimo giro, un bambino di nove anni inseguiva i battistrada con la lingua fuori. Magrolino, biondo, mi fece così tanta tenerezza che chiesi all’organizzatore di farlo trainare dalla moto-staffetta sui primi, così non si sfiancava a bagnomaria. Lui rispose: aiutarlo? Ma sei matto? Li ha già doppiati quasi tutti, se lo aiutiamo i genitori si infuriano». Quel bimbo era Tadej, di cui Hauptman fu prima mentore e poi tecnico fidatissimo alla Emirates.
«Tra i motivi del successo del nostro ciclismo ci sono l’orgoglio nazionale — ci spiega Primoz Cerin, primo negli anni Ottanta a lasciare la ex Jugoslavia per fare il professionista in Italia —, una grande cultura sportiva, strade sicure, l’assenza di pressioni (si pedala, corre, scia di fondo, gioca a basket) e il traino dei successi di Tadej». Un altro segreto lo racconta Martin Krasek: «L’educazione allo sport è compito dello Stato, come nella vecchia Jugoslavia: se una società assume un allenatore diplomato, il ministero paga il 75% del salario. Non puoi fare scouting a costo zero». Aiutano piste ciclabili e ciclodromi e il programma «Gremo na kolo» («Vai a scuola in bicicletta») con giornate di addestramento nelle sedi delle Elementari della regione. «Un bambino che impara ad andare in bici — spiega Krasek — è un bambino che si muove in sicurezza e che da grande, quando guiderà, rispetterà i ciclisti».
Tornato a casa sabato notte da un Lombardia trionfale, il quinto di fila, ieri mattina alle otto Tadej Pogacar ha trascinato duemila connazionali lungo una salita (e dove, altrimenti?) di 15 km con 1.200 metri di dislivello che scattava da casa sua al motto di: «Io parto per ultimo, vediamo chi riesce a non farsi superare». Gli organizzatori gli hanno riservato una corsia di sorpasso sulla destra dove lui rimontava, salutava e incitava: l’unico a non farsi acciuffare è stato un giovane dilettante inglese, tale Andrew Feather. Il ricavato (i pettorali Vip costavano 5.000 euro, quelli normali 120 e c’erano anche maglie di Pogi messe all’asta) è andato alla fondazione contro il cancro che Pogi gestisce con la fidanzata Urska, che a causa di un tumore ha perso la madre. In mezzo ai suoi concittadini Tadej Pogacar, di solito monosillabico con i giornalisti, si trasforma ed esalta: li motiva, li arringa, balla con loro. Per la Slovenia, per il turismo dolce che la rende un paradiso, non esiste un testimonial migliore. A chi vive in un Paese poco amico della bicicletta, resta addosso un bel po’ di malinconia.
13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 07:01)
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