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Sharm el-Sheikh torna ad essere il palcoscenico della diplomazia internazionale. Lunedì 13 ottobre 2025, oltre venti capi di Stato e di governo si riuniscono nella località egiziana per una cerimonia destinata a suggellare una tregua tra Israele e Hamas. La presidenza è condivisa: da una parte Donald Trump, sempre più attivo nel gioco della diplomazia globale; dall’altra il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che conferma il ruolo dell’Egitto come mediatore regionale.


APPROFONDIMENTI

L’obiettivo del summit

L’obiettivo ufficiale del summit è “porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza, rafforzare l’impegno per la stabilità in Medio Oriente e aprire una nuova fase per la sicurezza regionale”.

Ma dietro la vetrina diplomatica, si apre una partita molto più complessa.

Il vertice ha anche una chiara valenza politica. Trump, presente fisicamente a Sharm dopo un bagno di folla a Tel Aviv, dove è stato ringraziato pubblicamente per il suo ruolo nella mediazione del cessate il fuoco, cerca di rafforzare la propria immagine internazionale. La sua presidenza non è più istituzionale, ma l’ex presidente appare determinato a posizionarsi come protagonista di una fase negoziale cruciale nel conflitto israelo-palestinese.

Al vertice, Trump vuole ottenere due risultati: il primo è una legittimazione formale del suo piano per Gaza, ancora in fase di definizione; il secondo è proiettare un’immagine di leadership globale, anche in assenza di un mandato ufficiale. Per farlo, conta su un sostegno trasversale: dalla Francia alla Turchia, dall’Italia all’ONU, tutti siedono al tavolo, almeno per ora.

Una tregua fragile, una pace lontana?

Il vertice arriva in un momento di tregua dopo due anni di guerra. Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele, il conflitto ha provocato oltre 67mila morti a Gaza secondo le autorità sanitarie locali, e lasciato il territorio in macerie. La tregua è già in vigore da qualche giorno: i soccorsi sono ripresi, alcuni ostaggi israeliani sono stati liberati, e Hamas ha avviato la mobilitazione interna per riaffermare il controllo su Gaza.

Ma la pace è ancora lontana. Nonostante la cornice del summit, i nodi sostanziali – dal disarmo di Hamas alla governance della Striscia – restano irrisolti. Per ora, si tratta soprattutto di mettere una firma sotto un’intesa già fragile, nel tentativo di renderla vincolante davanti al mondo.

Chi partecipa al vertice

  • Donald Trump (USA) – presiede
  • Abdel Fattah al-Sisi (Egitto) – copresidente
  • Emmanuel Macron (Francia)
  • Keir Starmer (Regno Unito)
  • Recep Tayyip Erdoğan (Turchia)
  • Giorgia Meloni (Italia)
  • Pedro Sánchez (Spagna)
  • Antonio Guterres (Segretario generale ONU)
  • António Costa (Presidente Consiglio Europeo)
  • Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – Presidente Autorità Nazionale Palestinese
  • Rappresentanti di Arabia Saudita, Germania, Giordania, Canada, Sudafrica, Indonesia, Qatar (nonostante un recente lutto diplomatico)

Totale: circa 20-27 delegazioni. Oltre 200 giornalisti sono stati accreditati.

Chi non partecipa

  • Hamas – formalmente esclusa. La leadership del movimento è impegnata nelle prime fasi dell’accordo di tregua, tra rilascio degli ostaggi e logistica interna.
    Benjamin Netanyahu – Primo ministro israeliano
  • Iran – non invitato ufficialmente; il suo ruolo resta marginale nel formato scelto.
  • Russia e Cina – non confermata la partecipazione.
  • Alcuni Paesi arabi (come Siria o Libano) non figurano nella lista degli invitati.

L’agenda del vertice

Rafforzare il cessate il fuoco: dare copertura politica e diplomatica alla tregua già in atto.

Scambio ostaggi/prigionieri: supervisionare e facilitare la fase più delicata dell’intesa.

Governance futura di Gaza: discutere di un consiglio transitorio (senza Hamas), con possibili coinvolgimenti internazionali.

Disarmo di Hamas: tema cruciale ma esplosivo, potenzialmente divisivo.

Sicurezza e forze internazionali: ipotesi di una presenza multinazionale per garantire l’ordine.

Ricostruzione della Striscia: promesse di impegni finanziari, aiuti umanitari e infrastrutture. L’Italia, in particolare, punta a un ruolo chiave nella fase post-bellica.

Aiuti umanitari immediati: garantire corridoi sicuri per alimenti, medicine e acqua.

Equilibrio geopolitico: tentare di allineare interessi divergenti tra Occidente, Paesi arabi e Israele.

Le incognite che restano

Dietro l’immagine di un summit storico, si celano profonde fragilità. L’assenza di Hamas dal tavolo potrebbe rendere inapplicabili alcuni punti dell’accordo, specie quelli sulla sicurezza. Il tema del disarmo rischia di far saltare il fragile equilibrio con Israele, mentre la questione della governance futura della Striscia – tra Autorità Palestinese, potenze regionali e nuovi attori – è tutt’altro che definita.


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