In Spagna, è stato un caso letterario. Un romanzo d’esordio di rara delicatezza, una di quelle storie che forse non scegli in maniera consapevole, ma ti chiamano dallo scaffale di una libreria. Al centro c’è un uomo che scopre di dover morire “questo mese, forse il prossimo” e affronta questa realtà assieme a sua figlia, che in 40 anni non ha mai saputo prendere una decisione e ora viene posta di fronte a quella più difficile. Ti aspetti un libro triste, e invece ti ritrovi a sorridere, perdendoti in una storia che non delude le aspettative alimentate dalle recensioni che, come tante volte accade, ne anticipano la lettura.
Il suo autore si chiama José Luis Sastre ed è la voce di uno notissimo programma radiofonico, Hoy por hoy, che accompagna ogni giorno gli spagnoli durante l’intera mattinata. Lo abbiamo incontrato a Milano in occasione del lancio di questo suo libro – Le frasi rubate, Salani, 18 euro – in Italia.

Il regalo di questo romanzo sta nel consegnarci un ritratto molto tenero di un rapporto tra padre e figlia, nel momento in cui i ruoli si invertono. In cui cioè, chi è nato dopo deve aver cura di chi lo ha aiutato a crescere. Oggi, ai piedi del letto, ho fatto addormentare mio padre, perché a volte la vita ci capovolge, scrive. Nel nostro Paese quello della vecchiaia e della cura è un tema caro, come l’ha scelto?
“Lo è in Italia, in Spagna, in tutta la società occidentale. Scrivendo questa storia sono andato a incappare in una realtà, quella delle cure per gli anziani, che non conoscevo. Mi sono resto conto di quanto fosse necessario restituire la prospettiva di un personaggio, Xavier, che cresce nel romanzo ben al di là delle mie previsioni iniziali. È un tema importante cui non si dedica la necessaria attenzione”.

La parola eutanasia non compare mai, eppure a un certo punto il tema emerge, dai silenzi e dalle pause dei protagonisti. Fin dalla prima pagina, lei affronta il tema più difficile con insospettabile sincerità: Si può essere felici di morire?
“Non abbiamo altra scelta, se non accettare il nostro destino. Mi è sempre girato in testa il pensiero che sia possibile scomparire senza troppo preavviso. È un argomento che, associato ad altri, mi ha interessato nel tempo e mi ha fatto riflettere, perché penso che il tema sia per lo più posto in maniera sbagliata. Alla domanda ‘Come affrontare la fine’, la mia risposta è: allegria, gioia, spensieratezza. Volevo raccontare una storia per dire che di fronte a momenti complicati, duri, che la vita ci mette davanti, la gioia e l’ironia sono un buon strumento – forse il migliore, a volte l’unico logico – per far fronte a un destino ineludibile”.

Difficile parlare di gioia, con la morte nel cuore. Il suo romanzo fa piangere fin dalla prima pagina, eppure non ti viene da chiuderlo lì, anzi lo divori veloce fino alla fine. Quando ha deciso di scrivere questa storia? E perché?
”Da giornalista, la domanda è sempre stata presente nella mia testa: sarei stato capace di scrivere una storia di finzione, io che nel quotidiano mi occupo solo di fatti? Questo romanzo è pura finzione, molti pensano sia una storia autobiografica, ma non lo è. Spero riesca a spiegare una situazione in cui molti si possono identificarsi e per me ha rappresentato una sfida, farlo: affrontare una condizione difficile da una prospettiva diversa, rivendicare la gioia anche in un momento in cui si è vicini alla morte. Quel che lei mi dice – ci si commuove all’inizio del libro – è qualcosa che non ho voluto e non avevo preventivato; me lo hanno detto molti lettori, ma non era nelle mie intenzioni. Solo ora sono venuto a patti con questa sensazione che suscita negli altri. Ho imparato durante il processo di scrittura che il libro che ho scritto non ha nulla a che fare con il libro che ognuno di noi legge, come lettore”.

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La storia celebra la vita che si trova nelle cose semplici, nelle piccole routine che alla luce di una dura consapevolezza assumono un valore diverso, e celebra anche l’importanza dei libri, perché le “frasi rubate” del titolo sono proprio quelle che quest’uomo ruba ai libri letti e usa per esprimersi nel momento in cui sta perdendo lucidità. Colpisce, nelle pagine, la delicatezza del ritratto senile. A chi si è ispirato?
“Per scrivere di vecchiaia non ho avuto un modello concreto, in testa. Chi mi conosce, mi ha intravisto nel ruolo del padre e ha visto nel libro una sorta di autobiografia anticipata, nel senso che predice alcune aspetti che mi piacerebbe avere in vecchiaia. Io stesso ho una figlia, è come se mi fossi proiettato in un futuro immaginandomi con lei”.

Il suo libro è speciale perché parla di una situazione normale. Una di quelle in cui, a grandi linee, potremmo ritrovarci tutti: Carmen ci immerge nell’esperienza di accompagnare un genitore nel suo ultimo tratto di vita e con lei ci troviamo di fronte alla difficoltà di trovare qualcuno che badi a lui (o a lei) quando è malato e si preoccupa per l’odore della sua vecchiaia. Cosa vorrebbe dire, a chi sta guardando un genitore spegnersi e si prepara a dirgli addio?
“Non credo esista una frase o un messaggio universale, da diffondere. Ognuno deve affrontare la situazione in maniera personale, io l’ho fatto pensando che se mi dicessero che mi manca poco da vivere tenterei di fare quello che fa il mio protagonista, ovvero trarre il massimo e spremere la vita fino all’ultimo istante. Con una premessa: la rivendicazione del diritto di vivere la vita fino alla fine con dignità e per come la si voglia vivere”.

È crudele desiderare che tuo padre muoia, ma a volte non puoi evitare di volerlo. Come ha fatto a trovare parole tanto facili per esprimere un concetto cosi duro?
“Le ho detto che questo non è un romanzo autobiografico, ma questo non vuol dire che non ci abbia messo nulla di mio. Lo avrei scritto da un altro punto di vista, se non avessi letto i libri che ho letto, se non fossi padre di due ragazzi, se mia madre non fosse morta quando avevo 24 anni. Quindi, so cosa vuol dire vedere da vicino un genitore soffrire e conosco cosa vuol dire desiderare di mettere fine al dolore con un altro dolore. Penso che ognuno debba liberarsi dei sensi di colpa e sentirsi libero di affrontare i propri pensieri”.

Come si fa a coltivare bei ricordi?
“Mi chiede come far sì che i ricordi positivi abbiano la meglio sul dolore? Ah, a saperlo. Penso che sia ben riflessa, nel romanzo, una mia preoccupazione: che i ricordi finiscano per essere una finzione”.
“Ti tratterò come un morto”, lo avverto. “Non ti trasformerò in un santo solo perché sei morto, perché morire non è un merito”, si legge nel corso della storia. “Esatto, perché a volte finiamo per ricordare cose non successe o andate in maniera diversa da come le vogliamo ricordare. Sono ricordi edulcorati. Trovo che sia necessario invece essere onesti, è una preoccupazione intima che ho trasferito nel personaggio di Carmen e che sono riuscito a dominare solo quando sono incappato in un pensiero di Jorge Luis Borges: la vita non è solo la dimensione di quanto abbiamo vissuto, ma la dimensione di quello che abbiamo immaginato”.