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«Abbiamo dato loro l’approvazione per un periodo di tempo». Così Donald Trump ha risposto ad un giornalista che gli chiedeva un commento al fatto che i miliziani di Hamas si stanno riarmando come forza di polizia dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza.
«Loro vogliono fermare i problemi, e sono stati aperti su questo, e abbiamo dato l’approvazione per un periodo di tempo – ha detto il presidente – noi vogliamo che le cose siano sicure, credo che andrà bene».
APPROFONDIMENTI
Le forze di stabilizzazione
Quello delle forze di stabilizzazione è un punto dirimente per il futuro prossimo di Gaza e per permettere che con il ritiro delle truppe israeliane non riemerga il caos.
Finora c’è una sigla, Isf (International Stabilisation Forces) e poco altro. Chi ne farà parte? A chi faranno capo? Quale sarà il suo mandato? Gli Stati Uniti hanno escluso l’invio di un solo loro soldato nella Striscia. Sulla loro presenza in Israele invece i feedback sono contrastanti. L’idea che si è fatta avanti nei giorni scorsi è che l’Isf possa essere composto da militari dei Paesi arabi e musulmani (dal Qatar alla Turchia), abbia una sede di coordinamento in Israele e sia dispiegato su modello delle forze di peacekeeping dell’Onu.
L’Egitto sta lavorando alla messa a punto della formazione e del coordinamento di 5mila palestinesi da schierare a Gaza e si è detto disponibile ad inviare suoi militari «in un perimetro specifico» a patto che ci sia il mandato dell’Onu.
La presenza di Hamas
Le incertezze che avvolgono il dispiegamento dell’Isf s’intrecciano con i dubbi sul futuro dei miliziani nella Striscia. I report da Gaza raccontano che Hamas abbia già mobilitato migliaia di combattenti per ristabilire l’ordine e riprendere il controllo delle strade. «Accettiamo che le nostre armi non siano utilizzate ma la loro consegna è fuori questione», ha sottolineato una fonte di Hamas. C’è un dato a complicare ulteriormente la situazione: le divisioni interne all’organizzazione, non solo tra chi è nella Striscia e chi opera all’estero ma anche tra clan rivali che si sono formati tra le macerie di Gaza. Il rischio caos è tangibile e il governo Netanyahu potrebbe gettare benzina sul fuoco. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha annunciato che dopo la liberazione degli ostaggi Israele ha intenzione di «distruggere tutti i tunnel terroristici».
Il board di Gaza
Sullo sfondo resta l’interrogativo che, sin dal primo momento, ha accompagnato il piano di Trump. Il punto nove del piano spiega che il governo della Striscia sarà affidato a un «comitato palestinese tecnocratico e apolitico», sotto la supervisione di un organo internazionale di transizione presieduto da Trump. Ma all’interno di questa cornice si naviga tra i dubbi. Ancora incerto è il peso concreto che avrà Tony Blair, indicato da Trump come vicepresidente del Consiglio di pace per Gaza. Altrettanto fumoso è il ruolo che potrà avere l’Autorità Nazionale palestinese. Ad Amman il vicepresidente dell’Anp Hussein al-Sheikh ha incontrato proprio l’ex premier britannico. E’ stato un colloquio «esplorativo», ha spiegato una fonte palestinese parlando di un periodo di transizione che di prevede di un anno. E sottolineando come sia ancora presto per parlare di un ruolo politico dell’Anp a Gaza che comunque si dichiara pronta a collaborare per il futuro di Gaza.
Il piano di ricostruzione
Decine di alti funzionari sono intanto riuniti da oggi nel Regno Unito per un incontro ‘tecnico’ iniziato parallelamente al vertice dei leader di Sharm El-Sheik e dedicato alla ricostruzione della Striscia di Gaza palestinese dopo l’accordo di cessazione delle ostilità fra Israele e Hamas mediato dal presidente americano Donald Trump con l’aiuto di Egitto, Qatar e Turchia. La riunione, riferiscono i media britannici, vede radunati rappresentanti di governo di Paesi arabi ed europei (inclusa l’Italia), nonché di istituzioni finanziarie internazionali quali la Banca Mondiale o la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. L’incontro si articola come una conferenza a porte chiuse, destinata a durare tre giorni, per delineare alcuni programmi d’intervento nella Striscia, devastata e in gran parte rasa al suolo in due anni di rappresaglia militare israeliana.
Ad introdurla per conto del governo di Keir Starmer è stato, secondo una nota di Downing Street, il sottosegretario britannico agli Esteri responsabile per il Medio Oriente, Hamish Falconer, il quale ha definito l’iniziativa «un Piano di Ricostruzione Arabo»: finanziato in primis da futuri investimenti degli Stati del Golfo. I partecipanti, fra cui sono citati in particolare delegati provenienti da Arabia Saudita, Giordania, Italia e Germania, oltre alla presidenza britannica e a dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), sono chiamati a fare il punto «per coordinare gli sforzi del dopoguerra a Gaza», si è limitato a dire Falconer. La conferenza è ospitata riservatamente in un’appartata dimora storica utilizzata dal governo di Londra nel verde della contea del Sussex, in Inghilterra del sud.
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