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Lo scambio fra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi di lunedì ha completato la prima fase dell’accordo di pace fra Israele e Hamas, iniziata con il cessate il fuoco e il parziale ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza. La riunione in Egitto che si è tenuta lunedì sera, a cui hanno partecipato più di trenta leader mondiali e che è stata di fatto uno show del presidente statunitense Donald Trump, ha avuto come unico risultato la firma di un documento che però contiene solo vaghe formule di principio: non risolve le questioni politiche più delicate né stabilisce un percorso chiaro su cosa succederà adesso.

I grandi temi irrisolti sono principalmente tre: non si è mai parlato con chiarezza di un futuro stato palestinese e del suo autogoverno; la condizione del disarmo totale di Hamas, inclusa nell’accordo di pace, non è mai stata accettata dal gruppo (la tattica usata infatti è stata quella di accordarsi intanto sulla prima fase, e rimandare le altre questioni a un secondo momento); e non si è deciso su come si procederà per la ricostruzione a Gaza e soprattutto chi si farà carico dei costi, che saranno enormi visto che i bombardamenti israeliani hanno praticamente raso al suolo ampie parti della Striscia.

Riguardo al primo punto, Trump non ha mai parlato della creazione di un futuro stato palestinese, e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’ha esclusa del tutto e ha detto che Israele non la ritiene un’opzione. Il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, rappresentante dei mediatori arabi, ha invece parlato apertamente di un percorso che può portare «all’attuazione della soluzione dei due stati».

Donald Trump e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (AP Photo/Evan Vucci, Pool)

Sul futuro governo della Striscia, il piano prevede che inizialmente si insedi una «commissione palestinese tecnocratica e apolitica» supervisionata da un organismo internazionale, un «Consiglio della pace» guidato da Trump stesso e forse dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Su funzioni e poteri dell’entità palestinese e di quella internazionale ci sono informazioni e tempi vaghi. Lunedì Trump ha detto che «molti nuovi paesi vogliono partecipare» e ha citato l’Egitto (non si sa però chi altro abbia espresso questa preferenza, o quanto sia concreta).

Sempre secondo il piano, il governo transitorio dovrebbe poi cedere i poteri all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), cioè l’ente che già governa parte della Cisgiordania (all’incontro in Egitto di lunedì c’era anche il presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas). L’ANP dovrà però prima «riformarsi», ma non è chiaro cosa questo significhi. Il governo israeliano di Netanyahu in passato ha sempre espresso totale contrarietà all’ipotesi che l’ANP governi anche la Striscia di Gaza.

Miliziani di Hamas a Khan Yunis (AP Photo/Jehad Alshrafi)

La seconda questione su cui ancora non c’è accordo è il futuro di Hamas, che dopo il ritiro dell’esercito israeliano sta cercando di riprendere il controllo della Striscia. Pattuglie di miliziani armati presidiano buona parte del territorio e sono stati segnalati scontri con i clan rivali ed esecuzioni dei loro membri. Hamas non ha accettato il punto del piano che prevede che consegni tutte le sue armi, ma ha più vagamente promesso di cedere la propria autorità sulla Striscia a un’altra entità palestinese. Lo smantellamento di Hamas è considerato una condizione irrinunciabile da Israele.

La terza questione riguarda la ricostruzione. La fine dei bombardamenti ha permesso una migliore distribuzione di cibo e beni di prima necessità (che comunque non risponde ancora a tutti i bisogni), ma la situazione di Gaza rimane disastrosa sotto vari punti di vista: la Striscia è perlopiù distrutta, mancano le infrastrutture di base; la gran parte della popolazione sopravvissuta ha perso tutto e ogni impresa economica è stata cancellata da due anni di guerra. Anche solo rimuovere le macerie sarà un’opera enorme, che può occupare anni.

Trump ha promesso grandi fondi per la ricostruzione, ma senza specificare chi se ne occuperà, modi e tempi. I palestinesi che stanno tornando nelle zone da cui si è ritirato l’esercito israeliano stanno trovando perlopiù città distrutte, in alcuni casi rase al suolo.

A queste questioni principali si aggiungono una serie di possibili ostacoli contingenti: per esempio la restituzione dei corpi degli ostaggi morti. Lunedì Hamas ne ha restituiti quattro e deve consegnarne ancora 24, che però potrebbe avere difficoltà a individuare entro le 72 ore previste. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha già avvertito che un ritardo sarebbe considerata una violazione degli accordi e che «avrà conseguenze».