Verstappen si aggira nei box di Austin come un falco in attesa di un passo falso altrui.

A sei gare dal gong, con il Circus pronto a sfrecciare sul Circuit of the Americas – quel tracciato texano che pare un collage di curve europee trapiantato nel Far West, con tanto di colline artificiali e un rettilineo che sa di rodeo – il titolo piloti è un duello papaya tra Norris e Piastri. I numeri non lasciano scampo: Oscar è a 336, Lando a 314 e Max a 273.

Una montagna, direte voi. O, per meglio dire, un Everest per chi guida una Red Bull che, dopo un nuovo fondo magico, sembra aver ritrovato un po’ di quel mordente perduto, ma non abbastanza da scalare le classifiche con la disinvoltura di un tempo.

Verstappen sa bene che la sua è una rimonta da funambolo. Non basta vincere, come ha fatto a Monza e Baku, con quel piglio da predatore che gli ha permesso di rosicchiare 41 punti nelle ultime tre gare. A Singapore, però, il fato ha tirato un brutto scherzo: George Russell, quel britannico dal sorriso felpato e dal volante d’oro, gli ha soffiato la vittoria, lasciando Max sul podio ma con l’amaro in bocca.

E qui sta il bello, o il cinico, della faccenda: una Mercedes risorta dalle ceneri, con Russell quarto a 237 punti, potrebbe rivelarsi l’alleata involontaria dell’olandese. Perché se le McLaren, un tempo inarrestabili, ora vacillano – pensate al contatto al via di Singapore, con Piastri che rimprovera Norris per un “non proprio sportivo” tamponamento, e il gap tra i due che si assottiglia a 22 punti – beh, un Russell affamato di podi potrebbe seminare quel tanto di caos utile a far deragliare il treno papaya.

Ma entriamo nel merito di Austin, dove la Sprint di sabato – quel format ibrido che mescola qualifying e gara breve, regalando punti extra come caramelle a un bambino iperattivo – potrebbe ribaltare il copione. Verstappen ama il COTA: tre vittorie consecutive dal 2021 al 2023, seguite da un terzo posto l’anno scorso, quando Leclerc gli rubò la scena con la Ferrari. Qui, tra le curve ispirate a Silverstone e Hockenheim, con un caldo texano previsto oltre i 30 gradi che farà sudare non solo i piloti ma anche le gomme, Max potrebbe colpire.

La Red Bull, con il suo telaio ringiovanito, ha ritrovato grip nelle curve medie, quelle dove la McLaren eccelle ma dove ora, forse, il divario si è assottigliato. E se Norris e Piastri, liberi di azzuffarsi entro le sacrosante “papaya rules” – rispetto reciproco, niente sportellate da saloon – commettessero l’errore fatale? Un sorpasso azzardato, una strategia di pit-stop balbettante, e voilà: il terzo gode.

Max lo sa, e conta su quello, sperando che la rivalità interna ai rivali lo trasformi in un’ombra negli specchietti retrovisori, un fantasma che spinge all’errore. Intanto, la Ferrari pare un attore relegato in un angolo del palcoscenico. Charles Leclerc quinto con 173 punti, Lewis Hamilton sesto a 125: tanti bagliori di riscatto, da Monza a Baku, puntualmente svaniti.

La Scuderia, però, è messa peggio dei piloti. la McLaren, ha già incassato il Mondiale Costruttori a Singapore, con un margine che fa invidia a tutti: 650 punti, contro i 325 della Mercedes. Ma il thriller è ancora tutto da vedere: la battaglia per il terzo posto è apertissima: Ferrari è a quota 298 e la Red Bull – che però di fatto corre con un solo pilota – a 290.

E’ questo il fardello di Max: quel compagno di squadra, Yuki Tsunoda, che raccoglie briciole – 20 miseri punti, un sesto a Baku svanito in un dodicesimo a Singapore. Niente “lavoro sporco”, niente blocchi strategici: solo un’eco lontana di quando la Red Bull era un monolite. Verstappen dovrà arrangiarsi da solo, come un lupo solitario. Un weekend stonato ad Austin – magari un guasto al downshift, come a Singapore, o un caldo che frulla le sospensioni – e la rimonta si trasformerebbe in chimera. E il terzo incomodo, a quel punto, smetterebbe di essere incomodo.

vincenzo.borgomeo@formulapassion.it