La Programma 101 (P101) nasce così. 35 chili di tecnologia transistorizzata, con stampante incorporata e – dettaglio fondamentale – un linguaggio facile, pensato anche per impiegati senza formazione specialistica: bastavano 120 istruzioni, selezionabili da una libreria di 15 funzioni (aritmetiche, statistiche, finanziarie, input/output, salti condizionati). La rivoluzione non è solo nella forma: è nell’idea che chiunque, non solo un tecnico, potesse finalmente “parlare” con una macchina elettronica. E poi c’era la vera magia: la cartolina magnetica che affianca una stampante a rullo a 30 colonne. Un pezzo di plastica flessibile, rivestito da materiale magnetico, che funzionava come memoria esterna con una capacità equivalente di circa 480 caratteri. La si inseriva, registrava, archiviava, rileggeva. Una sorta di floppy disk ante litteram: economica, portatile, infinitamente più pratica dei nastri e dei tamburi magnetici usati all’epoca. In quelle cartoline si potevano salvare programmi e dati, portarli con sé, modificarli in un secondo momento. Insomma, la prima, rudimentale ma concreta forma di “memoria di massa” personale. Un’innovazione che apriva davvero le porte al futuro.

L’America impazzisce, noi meno

Alla presentazione americana, molti visitatori non ci credono: deve esserci un grande calcolatore nascosto dietro le quinte, pensano. E invece no: quella scatola bianca fa davvero tutto da sola. Per rendere spettacolare la dimostrazione, lo stesso Perotto coinvolge il pubblico con un piccolo gioco-sfida: lo chiama “Angela game”. Una partita a dadi virtuale, in cui bisogna raggiungere una meta senza oltrepassarla. Perotto gioca contro la sua creatura. E perde. Lo speaker, con enfasi da Broadway, annuncia: “La macchina ha di nuovo battuto il suo creatore!”.

Risate, applausi, incredulità. La Perottina viene messa in vendita al costo di 3200 dollari (circa 28.000 euro di oggi), contro i 20.000 dollari del minicomputer PDP-8, ed è subito un successo grazie all’inatteso interesse di piccoli imprenditori, dattilografi, impiegati: 44mila esemplari venduti, il 90% negli Stati Uniti. La Nasa la porta nei calcoli delle missioni Apollo, i sommergibili Polaris la usano per tracciare le rotte. Hewlett-Packard la copia nel 1968 con il modello Hp 9100A, viene beccata e paga quasi un milione di dollari di royaltiy a Olivetti. I giornali americani la celebrano, il MoMA la espone come capolavoro di design industriale.

E in Italia? A Firenze, durante una presentazione interna, un dirigente Olivetti, il dottor Galassi, scuote la testa: “Con questa non faremo mai budget”. È la sintesi perfetta: fuori dal paese entusiasmi, contratti, royalty milionarie; dentro i confini, diffidenza e miopia industriale.

Programma 101

Programma 101 al Museo di Informatica di Pisa: Da notare la tastiera a 37 tasti che comprende anche i tasti di registrazione e di stampa del programma

Foto: Wikimedia Commons – Public DomainJobs, Bellini e l’occasione mancata

Un’altra intuizione di Perotto fu chiamare un giovane Mario Bellini a disegnare la macchina preferendolo ad altri designer della Olivetti come Ettore Sottsass e Marcello Nizzoli, o a grandi nomi dell’epoca come Marco Zanuso, perché aveva davvero compreso come unire umano e tecnologia. Il risultato? Linee pulite, essenzialità funzionale: la P101 è bella, quasi ipnotica, senza mai essere frivola. Questo approccio – il design come anima del prodotto – colpirà anni dopo un certo Steve Jobs. Nell’estate del 1983, all’International Design Conference in Aspen (IDCA), il fondatore di Apple ascolta Bellini parlare della centralità del design e della bellezza come imperativo morale e ne resta folgorato. Lo chiama più volte per proporgli di lavorare con lui. Bellini rifiuta, ma lascia un’impronta profonda. Jobs costruirà Apple pensando anche a Ivrea, a quella piccola macchina che aveva già messo insieme tecnica e umanesimo. La Perottina, però, non diventerà mai il trampolino industriale che avrebbe potuto essere: solo nel 1967 Olivetti imbocca la strada dell’elettronica, ma ormai il vantaggio è svanito. Oggi, a sessant’anni dal debutto, la P101 è un cimelio da museo. Ma resta col ricordo di un’Italia che inventò il futuro ma non seppe trattenerlo anche il senso di una lezione da mandare a memoria.