di
Elisabetta Andreis
La mamma 33enne e il compagno Luca: «Quando restiamo a Milano peggiora». Abitano in zona Forlanini, tra il traffico e le piste d’atterraggio. E continua: «La città è divisa in due: chi può permettersi di andarsene; chi resta a non-respirare. Questa distinzione diventa ora problema di salute»
Ogni venerdì sera fanno la valigia piccola, quella delle emergenze. Vestiti, biberon, qualche libro per il viaggio. Poi via, appena fuori Milano. «Per respirare», dice Greta, 33 anni, responsabile risorse umane di una multinazionale dell’energia rinnovabile. Su consiglio del pediatra, porta via la figlia Costanza, sette mesi, ogni weekend. «Ha tosse, allergie, asma, stanchezza continua. Quando restiamo qui peggiora».
Abitano in zona Forlanini, tra il traffico e le piste d’atterraggio. Greta e il compagno Luca, ingegnere, lavorano entrambi nel settore green. «Siamo sensibili al tema per professione, ma anche arrabbiati. Chi minimizza o parla di semplice percezione dell’inquinamento è parte del problema». Il pediatra è stato netto: «Portatela via da Milano idealmente tutti i fine settimana». Così, da mesi, fanno i pendolari dell’aria pulita. «Non lo facciamo per fuga, ma per sopravvivenza. I giorni via da Milano sono una purificazione».
Al nido, racconta, il discorso è lo stesso. «Tutti cercano di partire appena possibile. Anche solo per 24 ore. C’è chi va e torna in giornata per rimanere nel budget. Ma il bisogno è collettivo: preservare la salute dei bambini». Sta nascendo una nuova abitudine, quasi una migrazione del venerdì. «Una comunità silenziosa di genitori “in fuga” che si scrivono, si organizzano, condividono app per monitorare l’aria. Evacuiamo i figli nel week end, come vivessimo in una zona rossa permanente».
L’organizzazione è complessa, il bilancio familiare ne risente. «Non abbiamo una casa al mare. Ogni weekend pesa. Ma non vedo alternative. Quando rientriamo la domenica sera e lo skyline si dissolve nella cappa grigia, mi viene da mettermi le mani nei capelli».
C’è una questione di giustizia sociale sullo sfondo, ragiona Greta. «La città è divisa in due: da una parte chi può permettersi di andarsene; dall’altra chi resta a non-respirare. Questa distinzione, sempre esistita, diventa ora problema di salute».
Una diseguaglianza nuova, invisibile ma concreta, misurata in litri d’aria, che penalizza in particolare i più fragili. «Il diritto a stare bene non dovrebbe dipendere dal conto in banca», è combattiva.
Greta e Luca cercano di fare la loro parte. «In famiglia non usiamo mai l’auto. Lo scooter sì, ogni tanto, per forza. Lo abbiamo preso nuovo, almeno inquina meno. Di solito ci muoviamo in bici, anche con Costanza nel seggiolino. Ma le piste ciclabili sono poche, e quando piove è un delirio: il bus non passa mai. Investire finalmente davvero sulle piste ciclabili, magari anche con sponsor se il Comune non ha sufficienti risorse, e rendere le corse dei mezzi pubblici davvero frequenti dovrebbe essere la priorità».
Sul piano personale sanno di non bastare. «Le soluzioni vere devono arrivare dall’amministrazione. Perché vediamo ancora così tante auto? Perché gli eco-palazzi si contano sulle dita di una mano?». Lei lavora nell’economia circolare, il marito vola spesso per lavoro. «La contraddizione la conosciamo bene. Ma portare via i figli perché stiano in salute è anche un gesto politico… servisse a qualcosa …». Guarda la città dal finestrino, il venerdì, mentre si allontanano. Altrove l’aria è più leggera. «Milano non è più respirabile: frase esagerata o letteralmente vera? Propendo ormai per la seconda». Poi sorride, amaramente: «Dovremmo provocatoriamente chiedere un rimborso, un risarcimento simbolico alla città: per la salute dei nostri figli». Un paradosso, certo. Ma in quel paradosso c’è già scritta la Milano che viene: una città che corre, produce, inquina. E che, ogni weekend, si svuota piano, mentre i suoi bambini vanno a cercare ossigeno altrove.
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15 ottobre 2025
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