Un incendio apocalittico, un autobus giallo che sfreccia tra le fiamme, bambini che piangono, un autista eroe con lo sguardo bruciato dalla paura e una maestra inizialmente simpatica come una gag di Pio & Amedeo che gli urla di non mollare. In sottofondo, gli archi drammatici di James Newton Howard, fumo e fiamme digitale, droni e inquadrature che tremano come se il cameraman avesse lasciato acceso un Tesmed alimentato da un reattore a fusione Arc e molto altro ancora. Tutto questo è The Lost Bus di Paul Greengrass. Basato su una storia vera. Cosa c’è di vero? L’autobus era davvero giallo. E stop, o quasi. SIGLA!
Il ritorno di Paolo Erbaverde, proprio lui, quell’amico che dopo un po’ che ti parla continuando a muovere le mani ti fa girare la testa e salire la nausea. L’uomo che ha trasformato la shaky cam in linguaggio universale, portando il caos controllato dei suoi Bourne dentro ogni possibile disastro moderno: dagli aerei di United 93 alle navi di Captain Phillips, passando per i focolai di tensione geopolitica in Green Zone e 22 July. In mezzo, così de botto senza senso, il western News of the World. La sua cifra è l’urgenza, il respiro corto, la camera che traballa come se stesse cercando di sopravvivere anche lei. E ritroviamo tutto in L’AUTOBUS PERDUTO (fa più ridere così, no?): Greengrass torna alle origini del suo cinema diviso a metà tra due Michael, Moore e Bay: la cronaca di un fatto reale trattata come un film d’azione. Solo che stavolta l’azione sarebbe da svolgere tutta su un’autostrada bloccata, perché la realtà non è che fornisse quella febbre visiva che il regista ama così tanto imporre ai suoi lavori.
L’AUTOBUS PERDUTO è tratto dal libro di Lizzie Johnson, Paradise: One Town’s Struggle to Survive an American Wildfire, resoconto di varie storie avvenute durante il devastante incendio rinominato Camp Fire, scoppiato l’8 novembre 2018 nella contea di Butte County, nella solare ma secchissima California. La Johnson ha seguito il disastro “sul campo”, con interviste, analisi dei documenti pubblici e viaggi tra rifugi e comunità evacuate. Nell’insieme di drammatiche storie che ha messo insieme, c’è anche quella di Kevin McKay, autista scolastico che durante l’incendio di Paradise (il più mortale della storia della California), ha messo in salvo ventidue bambini. Fin qui tutto vero. Solo che, come ha ricostruito la stampa americana – CNN, Washington Post etc – il bus di McKay non ha mai attraversato pareti di fuoco, non è stato assalito da saccheggiatori e non ha mai nemmeno perso i contatti radio. È “solo” rimasto bloccato nel traffico, sotto una nube di fumo, mentre il conducente cercava di tranquillizzare i bambini e inventarsi un modo per farli respirare con stracci bagnati, calma e sangue freddo. Comunque eroico, certamente, ma vai a sapere perché qualcuno (Jason Blumhouse e Jamie Lee Curtis con la sua Comet Films, nello specifico) ha pensato di prendere quel paio di pagine per farne un film dall’impostazione pseudo-apocalittica… ah già, la so questa.

“PERCHÈ NESSUNO PENSA AI BAMBINI?!”
La presenza di cuccioli di uomini incapaci di provvedere alla propria sopravvivenza ha richiamato l’attenzione di Hollywood. Ecco quindi che nella versione di Greengrass, questa corsa diventa un thriller pirotecnico, che parte da un autista che sta passando una giornata veramente di merda tra problemi familiari, al lavoro e di salute (al punto che nella prima parte diventa quasi plausibile un colpo di scena pazzesco del tipo che è stato lui ad appiccare l’incendio perché pienissimo della vita), e finisce con esplosioni, pistole, fiamme digitali e pathos a quintali. È la magia – o in questo caso la condanna – del “based on a true story”, baby: prendere la verità, schiacciarla in uno stampo drammaturgico e restituirla in forma di catarsi. Il problema, in questo caso, è che la verità era potente ma non così cinematografica e non aveva probabilmente bisogno di essere riscritta come Speed con gli estintori.
L’AUTOBUS PERD-Ok, la smetto. The Lost Bus nel suo continuo oscillare tra tensione e moralismo («A volte gli esseri umani sono veramente stupidi», ci fa sapere il capo dei vigili del fuoco nel momento del film che chiameremo il “Te la devo dire in faccia la morale”), mostra il vero limite dei dramma ispirato a fatti reali”: la rincorsa all’emozione e dello spettacolo fine a sé stesso, stucchevole quando c’è di mezzo una storia vera. Greengrass, che nei suoi film migliori (United 93, Captain Phillips) aveva trovato un equilibrio tra documento e spettacolo, qui cede palesemente alla tentazione dell’effetto e di poter usare la sua classica e brevettata shaky cam, quella che dagli anni Duemila è diventata marchio di fabbrica grazie ai Bourne, in mezzo a fumo e luce arancione, ma più che realismo in questo caso dà la nausea. C’è dinamismo, certo, ma anche la sensazione che a fine film si debba passare dallo sgabbiotto per ritirare la foto ricordo, come a Gardaland.
Il dramma umano, dovrebbe essere il cuore pulsante del film, ma anche qui non benissimo. I bambini stessi sono ridotti a comparse emotive: strumenti narrativi per amplificare la redenzione degli adulti. Piccoli corpi che tossiscono al momento giusto, piangono quando serve, sorridono in dissolvenza. È la stessa grammatica di Thirteen Lives di Ron Howard: il centro è l’impresa, non le persone. Il “cosa” viene prima del “chi”. Ma siamo in un’epoca in cui film come The Voice of Hind Rajab o 20 Days in Mariupol ci hanno ricordato che l’impatto arriva proprio dal nome e dal volto, dall’identità che resta. The Lost Bus, invece, corre nella direzione opposta: usa la tragedia reale come pretesto per un’astrazione morale.

«Se succede un incidente succede COOOSA al conducente?!»
Il paradosso è che Greengrass non è un regista disonesto. È uno che, fin dai tempi di Bloody Sunday e United 93, sa come dare forma al caos e raccontare l’emergenza con autenticità. Ma qui sembra prigioniero di due spinte contrarie: da un lato l’urgenza documentaria (la cronaca di Paradise, la verità del disastro ambientale), dall’altro la logica del grande dramma hollywoodiano, che ha bisogno di eroi e di climax. Così, ogni scena che potrebbe respirare, viene strozzata da un montaggio isterico e quando invece le cose si calmano cioè che resta sono emozioni artificiose, slegate dalla veridicità dei fatti e incollate su stereotipi ambulanti – al punto che si può scrivere tutta la recensione senza bisogno di nominare America Ferrera o Matthew McConaughey, anche se la tentazione di citarlo solo per dire che nei panni di un autista di scuolabus farebbe un pessimo lavoro perché va solo all right all right, lo ammetto, è fortissima. Meno male che ho resistito e non l’ho fatta questa battuta, eh?
Tornando a noi. È chiaro che The Lost Bus vorrebbe omaggiare o quantomeno ricordare quei disaster movie anni ’90 finiti nel cestone dei film proposti da Italia Uno nelle calde serate estive di agosto — quelli in cui la catastrofe era spettacolo puro. Ci sono echi di Twister, di Volcano, di Armageddon a voler proprio esagerare. La corsa contro il tempo, la natura come nemico, l’uomo che sfida l’impossibile. Ma a differenza di quei film, qui non c’è il fascino del paradosso, solo la fatica del realismo. I fuochi sembrano veri (fino a un certo punto: la destinazione streaming si sente tutta), ma le emozioni no. È come se Greengrass volesse dirci: “Guardate quanto è terribile ciò che accaduto”: e giustamente lo spettatore a quel punto si domanda “Sì, ma è successo davvero?”. E quando dopo i titoli di coda va a cercare su Google la storia di Kevin McKay, scopri che metà di quello che ha appena visto non è mai accaduto. A quel punto The Lost Bus diventa una metafora involontaria del cinema contemporaneo: un film che parla di una realtà così fragile da dover essere ricostruita digitalmente per sembrare credibile. Invece di lasciarci con una riflessione sulla vulnerabilità umana di fronte alla catastrofe, ci lascia con l’idea che tutto, anche l’eroismo, debba essere spettacolare per valere la pena di essere raccontato. E allora sì, Paul Greengrass rimane un grande regista, ma qui sembra un autista che ha perso la strada: guida un autobus che voleva portarci dentro l’inferno del reale, ma finisce parcheggiato nell’ennesimo ingorgo di retorica e CGI.
Poster quote:
“Questo è l’incendio più devastante nella storia della California”
“L’incendio più devastante nella storia della California, finora…”
Lou Ferragni, i400Calci.com
Dove guardare The Lost Bus
