Incontriamo a Napoli, per la conferenza internazionali Dialoghi Mediterranei, l’ambasciatore Francesco Maria Talò. Diplomatico di lungo corso, Talò legge la fase apertasi con Sharm el-Sheikh come un tornante strategico che va oltre l’attualità. Nella sua analisi, il tema degli ostaggi ma anche quello dei corpi tocca corde profonde dell’opinione pubblica israeliana, mentre la “geografia” del vertice disegna una possibile coalizione allargata dall’Atlantico all’Indo-Pacifico. In questo quadro, l’Italia può giocare un ruolo operativo e politico di primo piano.

Ambasciatore, guardiamo oltre l’immediato. Qual è la “geografia” strategica emersa a Sharm el-Sheikh?
«Se tracciassimo una mappa, coprirebbe quasi tutto il globo. Questo è l’aspetto interessante: da un lato, quella geografia è stata decisiva per esercitare una pressione tale da isolare Hamas; dall’altro, è importante per il futuro, non solo per il conflitto israelo-palestinese – e spero presto poter parlare di comunità di interessi tra israeliani e palestinesi – e per il Medio Oriente, ma per gli equilibri globali».

Tornando indietro di due anni: qual era il disegno di Hamas e come ci si è mossi per disinnescarlo?
«Hamas puntava a dividere: indurre Israele a una reazione sproporzionata e creare una frattura tra Occidente e mondo musulmano. Giorgia Meloni lo ha compreso subito dopo il 7 ottobre e si è impegnata per evitare quella trappola. Lo ha fatto anche con la partecipazione, nell’ottobre 2022, al vertice organizzato dal presidente al-Sisi al Cairo: fu l’unico capo di governo del G7 presente, un segnale per mostrare al mondo musulmano la volontà di impegnarsi insieme nella ricerca della pace».

Che peso hanno avuto gli sviluppi militari e politici dell’ultimo anno nello spostare gli equilibri?
«C’è stato il lavoro del presidente Trump, i duri colpi inferti da Israele a Hezbollah e il cambio di regime in Siria, con riflessi sull’Iran, uscito ridimensionato dai raid mirati di Israele, capofila dell’asse collegato ad almeno una parte di Hamas responsabile dei crimini del 7 ottobre. Alla fine, il mondo arabo non ha reagito in modo significativo contro Israele e si è tenuto vicino alle direttrici del sistema occidentale».

In questa mappa compaiono anche attori musulmani non arabi. Quanto contano Turchia, Pakistan e Indonesia?
«Molto. Il ruolo della Turchia è fondamentale; quello del Pakistan, benché più lontano, è rilevante; e vorrei sottolineare l’Indonesia. Arrivando all’Indonesia, davvero possiamo dire che dal Nord America, attraverso Europa e Medio Oriente, si giunge all’Indo-Pacifico: si delinea così una coalizione, non omogenea ma importante, un ‘sistema di avvicinamenti’ che pesa anche rispetto ai grandi assenti di Sharm el-Sheikh, a cominciare dalla Russia, che nella regione ha certamente perso influenza».

Lei propone a Israele di “uscire dall’accerchiamento” e dalla “sindrome dell’accerchiamento”. Che cosa significa, concretamente?
«Entrare in una logica di pace, come sembra indicare l’esito del summit di Sharm el-Sheikh. Israele dovrebbe avere la maturità e la capacità per indicare la strada che porta dalla start-up nation alla start-up region: far crescere l’intera area – Israele, Palestina, Giordania, ma anche Libano e Siria – in una nuova dimensione di sviluppo. Gli investimenti internazionali possono esserci. I progetti infrastrutturali devono partire. Arabia Saudita, Qatar ed Emirati, per citare tre attori, possono convogliare volumi ingenti di capitale che favoriranno la pace attraverso la crescita di commerci, energia e ricerca».

Che ruolo specifico può giocare l’Italia in questa transizione?
«È duplice. Sul terreno della sicurezza, con una presenza dei Carabinieri, vedremo in quale forma, che già da tempo sono impegnati nella formazione della polizia palestinese. Sul piano politico-diplomatico, Giorgia Meloni è stimata e ascoltata da Donald Trump ed è interlocutrice strategica per l’area, dalla Turchia all’Egitto, dall’Arabia Saudita alla Giordania. Lo dimostrano i fatti: la diplomazia italiana guidata da Antonio Tajani e le iniziative sul fronte sicurezza, soft power e sviluppo infrastrutturale».

Parliamo di futuro: il corridoio IMEC può essere il perno di questa visione?
«La novità straordinaria è l’allineamento dell’Indonesia con l’India, la Penisola Arabica e Israele. Da qui si costruisce un ponte in cui l’Italia è pilastro centrale, che arriva fino agli Stati Uniti. È l’ossatura di una connettività euro-atlantica, indo-mediteraanea e indo-pacifica capace di ancorare la pace alla crescita e all’integrazione».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

Aldo Torchiaro