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Ok, di Raffaella Carrà ce n’è stata una e una soltanto, sia come impatto culturale – la liberazione dei costumi del “far l’amore da Trieste in giù”, il ruolo delle donne nello spettacolo e il resto, erano pur sempre altri anni – e sia come gittata, basti pensare a come sia considerata ancora un’icona anche in Spagna, dove da viva, per un periodo, è stata perfino più popolare e influente che qui. Eppure non è assurdo dire che Annalisa, come cantante, si stia inserendo in quel solco, che dunque abbia appreso la lezione musicale della “Raffa” e la stia riportando ai giorni nostri. Lo ammette lei stessa nelle interviste, pur nella massima umiltà, sottolineando che è un mito e un riferimento nei pezzi, da un lato super-pop, cantabili e ballabili, dall’altro capaci di veicolare “messaggi importanti”. O almeno questa è l’idea – confermata – dietro Ma io sono fuoco, il suo nuovo album appena uscito, nono della carriera ma appena il secondo dopo il grande exploit degli ultimi tempi (e dunque il secondo in cui da Annalisa, ecco, ci si aspetta qualcosa). Sorpresa: quel qualcosa c’è, eccome.
Un paragone concreto
Ovviamente, Annalisa non è la nuova Carrà, ma perfino in questi tempi così polarizzati e complessi può ambire a diventare un qualcosa di simile e, anzi, è già ben instradata in merito. Certo le manca la tv (ancora per quanto?) e in generale non è un’icona di quel livello, ma c’è tempo e gli elementi in gioco e la percezione comune sono simili. Oggi, non giriamoci intorno, fare musica “pop” – come lo, è in senso stretto, quella di Carrà e di Annalisa, chiaro – non è più una questione di genere, anche tanto rap e trap sono pop. E soprattutto, gran parte del suo fascino si gioca sulle divisioni: con i social e le lotte culturali del 2025, dividere è più facile e redditizio che unire, motivo per cui la retorica dei rapper “noi contro il mondo” è in voga, cantautori come Ultimo s’inventano nemici tra la stampa, altri giocano sul possibile odio che forse si nutre nei loro confronti o forse no e la stessa Elodie sembra diventata un test dello stato di salute di Destra e Sinistra. Tant’è.
E invece Annalisa, come già Carrà, no. È tra le pochissime che unisce, in maniera trasversale e credibile, da anni. Se anche un Lucio Corsi, almeno in come viene raccontato, ha dei “nemici” (la presunta decadenza della musica, contro cui si batterebbe, ok), Annalisa non ne ha, per di più considerando che è una donna e mediaticamente è sottoposta sempre a un doppio giudizio e a un senso di competizione con le colleghe. È il volto della prima serata, è Mon Amour suonata alle sagre di paese, è gli arrangiamenti anni ottanta di questo Ma io sono fuoco, che giocano sulla nostalgia di chi ha cinquant’anni (e che l’ha già adottata a nuovo riferimento) e sui gusti da revival di chi invece ne ha venti. Bambini e anziani. Funziona. Ma proprio quegli arrangiamenti – e lo dimostrano le nuove canzoni, undici pezzi tra cui le già pubblicate Maschio e Piazza San Marco – sono sviluppati insolitamente bene per il pop italiano di oggi, con un’idea di fondo che ora come ora è una merce sempre più rara. Non le si può non riconoscere. Annalisa è Sanremo, ma non i finti sold out. È anche Milano, le sfilate, ma pure il paese minuscolo di provincia, in Liguria, da cui viene. È la moda, ma anche la laurea in fisica (ormai un meme). È sul carro del Pride di Roma (2024), ma senza per questo diventare un bersaglio mobile della Destra.
Pop formato Cavallo di Troia
Uno dice, va bene, allora è ecumenica? Forse è solo un’equilibrista, una capace di parlare a tutti, una dote, di nuovo, sempre più rara oggi, e in cui Carrà era numero uno. Servono tatto e intelligenza, ma non è questione di codardia, di volersi censurare. Perché poi, a sentire davvero Ma io sono fuoco, che è un po’ la cartina di tornasole di tutto questo discorso, la sostanza e i “contenuti” ci sono, eccome. Certo, non parliamo di musica “sociale”, eppure c’è di tutto: la critica sociale verso le questioni di genere (la stessa Maschio), il sesso e la provocazione (in Esibizionista, che si candida a essere la prossima hit, un’Annalisa finora più “pudica” si barcamena bene tra questi spunti), i riferimenti religiosi per giocare, soprattutto una certa ironia e autoironia che al pop italiano, al momento, manca. E poi, appunto, i ritornelli da autoscontro, le melodie per le radio e TikTok, insomma ciò che rende queste undici canzoni dei perfetti Cavalli di Troia: proprio come con Carrà, si fanno cantare con leggerezza, salvo scoprire che poi, sotto sotto, la frecciata arriva. “Il messaggio finale”, ha detto sempre Annalisa, “è che ciascuno si vive la propria vita come vuole”, e non è poco, di nuovo, di questi tempi. Chissà come finirà.