Roma, 17 ottobre 2025 – “Lo considero la mia opera prima”. Vincenzo Alfieri parla così di ’40 secondi’, film tratto dal romanzo omonimo di Federica Angeli presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma in cui ripercorre le 24 ore che precedono l’uccisione del giovane Willy Monteiro Duarte a Colleferro nel 2020. Un litigio per un semplice equivoco che si trasforma in un pestaggio di una violenza inaudita per mano dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia. La pellicola in sala dal 19 novembre, intreccia incontri casuali, rivalità e tensioni latenti per indagare la natura umana e i suoi condizionamenti.
“Quando mi è stato proposto il film ero titubante perché questa è una storia che era già stata tanto raccontata sui giornali e c’era stata una grande sovraesposizione mediatica”, spiega il regista. “Una cosa che mi ha colpito è che nelle prime pagine del suo libro d’inchiesta, Federica si interroga su cosa avesse potuto fare Willy la mattina appena sveglio o i fratelli Bianchi. Io e Giuseppe Stasi, il mio co-sceneggiatore, ci siamo detti che forse era proprio questo che dovevamo raccontare. Non una storia in senso classico, ma una fotografia dei personaggi in una giornata tipica di un’estate torbida del 2020 post Covid. Un momento storico in cui venivamo da un grande sentimento di rabbia per quello che stava capitando. Ma c’era anche la necessità di andare oltre”.
Nel film, il cui cast comprende tra i tanti Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva e Justin De Vivo, si pone l’accento sul gesto compiuto da Willy, medaglia d’oro al valore civile alla memoria. “Abbiamo voluto parlare di una cosa molto importante che ha fatto Willy e che in questi giorni è ricordata dalla cronaca con i casi di Palermo e Napoli”, afferma Alfieri. “Willy si è messo in mezzo per sedare una rissa e non è rimasto indifferente. Oggi siamo anestetizzati dalla violenza perché la viviamo quotidianamente, fa parte di noi anche sui social. Una cosa che mi colpisce sempre è vedere come si passa da una strage a un post su qualcosa di frivolo con molta facilità. Queste notizie ormai vengono vissute molto passivamente. Ma ci sono persone come Willy che dimostrano che c’è ancora una grande umanità che deve essere raccontata”.
Una storia che risuona forte anche nella sfera personale di Alfieri. “Ho fatto film completamente differenti in precedenza, ma ’40 secondi’ mi ha permesso di raccontare il Vincenzo adolescente,” confessa il regista. “Ho vissuto in paesi dove la noia la fa da padrona, dove situazioni spiacevoli si vengono a creare molto spesso. Nei dialoghi e nel modo di accettare la vita c’è molto di me e dei miei amici dell’epoca. Ho cercato di essere fedele agli adolescenti intervistandoli, seguendoli e capendo come parlano, vestono o pensano. Perché quando andavo al liceo e mi venivano proposti i cosiddetti ‘film generazionali’, venivano sempre fatti da registi e sceneggiatori che poco parlavano veramente agli adolescenti”.
Nel raccontare la storia di Willy, ’40 secondi’ permette anche di esprimere una visione del mondo. “Ci sono dei film che non vanno scelti per per interpretare un personaggio, ma perché finalmente ti viene data la possibilità di poter dire da che parte stare”, spiega Di Leva. “E visto la mia natura di essere umano, di cittadino – anche rispetto a tutte le cose che provo a fare insieme a dei colleghi nel mio quartiere a San Giovanni a Teduccio – per me era impensabile non stare in un progetto in cui potevo gridare da cittadino e da attore: ‘Sto dalla parte di Willy’”.