Perché quando mi sveglio, tutte le mattine, devo cercare di non cadere a pezzi? La domanda non è mia; potrebbe appartenere al protagonista di In forme di Dolki Min (edito in Italia da add nella traduzione dal coreano di Lia Iovenitti), ma in realtà arriva da una canzone dei White Lies, As I Try Not To Fall Apart. Immaginatevi questo: un alieno, naufragato sulla Terra dopo la fine della sua specie nel pianeta d’origine, non sa come fare per tornare a casa e non sa interagire con gli esseri umani. Ha una gran fame. Ha la capacità di mutare il suo aspetto in quello di chi voglia, seppur a gran fatica. Decide di cibarsi di umani e di essere generoso con loro, donando un ultimo rapporto sessuale (a quanto pare megagalattico) prima dello sbranamento.

in forme add editore dolki min

Foto: press

Ce ne sono eh, di narrazioni attorno alla sproporzione degli appetiti sessuali e alle di questi conseguenze nefande. It Follows, per esempio, film di una decina di anni fa in cui una malattia-maledizione si trasferisce attraverso il contatto fisico o meglio intimo, che metafora più metafora di questa… Ma Dolki Min, misteriosa figura senza volto né caratterizzazioni che dalla Corea del Sud ha scritto il libro, assumendo integralmente il punto di vita dell’alieno innominato, non vuole percorrere questa strada. La conosce, evidentemente, ma non è quello il punto.

«Quando la gente non mi degna di una risposta, come se fossi invisibile, mi si gela il sangue. Pure ce ne sono di persone che ti ignorano come se fosse la cosa più naturale del mondo». Ma ancora: «[Gli anziani] mi suscitano un senso di complicità che non so spiegare. In loro, rivedo me stesso. Pur essendo molto più giovani, a tratti sembrano affaticati quanto me». E poi: «Un uomo può camminare come gli pare, mentre una donna deve camminare da donna. (…) In realtà, distinguere lo stile di camminata femminile da quello maschile è complicato, perché si tratta di costruzioni mentali».

Non è difficile capire che il punto dell’autore, e mi scuso a nome della lingua italiana per l’identificazione coatta, non ha a che fare con gli incubi dell’assalito; ma con quelli dell’assalitore. Obbligandoci a vedere il mondo con i suoi occhi, tanto né l’uno né l’altro hanno genere. L’alieno assomiglia a un blob, ha molteplici organi sessuali, e mantenere una forma umana gli richiede uno sforzo al limite, pardon, del sovra-umano. Una terza gamba, che in realtà è una mano in realtà è un’unghia, potrebbe sbucare a ogni momento. Sarebbe la fine, una fine. Non solo quella personale, ma pure di un mondo. Il quale, in questo caso, sembra resistenza.

C’è un informe corporeo: lo associamo ai mostri. C’è un informe sociale: quelli che non conosciamo, i visi sfumati per strada, i date procacciati sulle app dello smartphone – che è in gamba per un motivo, smart, guarda come ci fa passare serate di sesso e conversazione come se nulla fosse! L’alieno è entrambe le cose. Ma come dice il titolo, naturalmente, esso è in realtà in-forme, un processo di persona (o una persona di processo, chissà). Il succo è ben afferrabile: l’informe ha in realtà una forma, anzi che dico, tutte quelle che vuole. È un inno alla molteplicità individuale; un manifesto dell’orgoglio fluido e transessuale; il desiderio di ermafroditismo in ognuno di noi che prende corpo (speculativo, s’intende).

«Caro corpo, ho sbagliato. Mi spiace. Ho infilato dei sandali con il tacco basso. Caricato lo zaino in spalla, praticamente una mia estensione, sono pronta per le riprese. Appena metto piede fuori di casa, infatti, le telecamere invisibili iniziano a registrare. Devo stare all’erta». Sentirsi estranei nel proprio corpo, o alieni in faccia a chiunque altro, che strana equazione. Perché dobbiamo definirci?

Ma ci dimentichiamo che il grido d’aiuto è ben prima che contemporaneo. Lo sentiamo rimbombare dal Post-Modernismo, dagli Scapigliati, dai Crepuscolari: sono non dovrei essere. Non vorrei essere, non così, non qui. «Strade che si susseguono come un argomento tedioso / di intento insidioso / Per condurti a una domanda che ti ingabbia… / Suvvia, non chieder cosa sia: / andiamo alla nostra visita». Mi ci appoggio pure troppo, al Canto d’amore di J. Alfred Prufrock, by T.S. Eliot, eppure credo che stia tutto lì, da circa e più di un secolo: «Ci sarà tempo, per preparare la faccia a incontrare le facce che incontri… E se osassi disturbare l’universo?… E ho incontrato tutti gli occhi, li ho conosciuti tutti- / Gli occhi che ti fissano in una formula, / e una volta formulato, dimenato a una puntina, / Una volta che mi avranno appeso al muro / Come dovrei cominciare / A sputare tutti i mozziconi dei miei modi e giorni? / E come potrei presumere?».

Siamo ancora invischiati nel problema di noi stessi, e non abbiamo idea di come uscirne. È giusto, come fa In forme, proporre una nuova strada, una nuova lente per temi del sempre contemporaneo, che si calano in una veste nuova, che si tratti di affermazione di genere/sessuale o qualsiasi altra cosa. Potrei indicare un sentiero a zero chilometri da noi stessi, per proseguire nell’indagine? Ah, ma questo lo capireste solo dopo aver sfogliato il libro di Min…