L’abbiamo vista da poco su Rai1, nei panni di Susanna, protagonista, assieme a Cristiana Capotondi, della serie ’La ricetta della felicità’ (regia di Giacomo Campiotti), che racconta la storia di un’amicizia capace di superare pregiudizi e confini sociali. Ma Lucia Mascino non si ferma: al momento è infatti sul set di un nuovo film. “È una commedia ambientata nella valle del Chianti – dice provando a non sbottonarsi troppo –. Tutto ruota intorno a una cantante e a delle auto d’epoca”. Poi si lascia andare un po’: “L’ho scelta perché mi divertiva molto la sceneggiatura”. La commedia è il suo pane fin da quando ha iniziato il mestiere di attrice, dividendosi tra teatro, cinema e televisione. Ed è stata una chiamata improvvisa. “Da ragazza amavo dipingere, poi ho sentito l’esigenza di condividere l’esperienza artistica con gli altri e ho capito che potevo farlo su un palco”. Nel suo album di famiglia c’è qualche istantanea con Virna Lisi, lontana parente che forse ha inciso, seppur indirettamente, nella sua vita. “L’ho incontrata una sola volta e avrei voluto chiederle tante cose, ma un’eccessiva discrezione mi ha fermata”, sottolinea tradendo qualche rimpianto. E guarda indietro pensando anche alla sua vecchia casa senza TV. “Mia mamma non ne voleva sapere – ride –. Oggi glielo ricordo scherzosamente dicendole che a furia di non farmela guardare mi ha spinta a farla”.
Esiste davvero una ricetta della felicità?
“Forse non esiste una ricetta vera e propria, ma nella vita di ciascuno ci sono degli ingredienti per raggiungerla che ci accomunano; altrimenti non rideremmo tutti nello stesso momento di un film. Io, comunque, la felicità l’ho sempre associata, soprattutto da piccola e da ragazza, a un’avventura. Oggi l’associo a qualcosa che riguarda la libertà di essere se stessi e di costruire rapporti autentici. E poi c’è quella sensazione improvvisa di passaggio che dura un attimo, come diceva Totò: la felicità sono attimi di dimenticanza”.
Lei è felice?
“Conosco bene la felicità, anche se l’ho accantonata per molto tempo”.
Nella serie Rai appena conclusa cos’è la felicità?
“Un progetto condiviso, che parte dall’idea di rimettere in sesto una vecchia balera e si sviluppa in modo più complesso, coinvolgendo i personaggi, tanto da diventare una comunità”.
Una storia come quella della serie è pensabile in una società come la nostra?
“Assolutamente sì, non siamo solo algoritmi. La serie dimostra proprio questo: la solidarietà esiste ed è una forza viva e presente, anche quando sembra sopita. Si tratta solo di risvegliarla”.
Il suo rapporto con Virna Lisi?
“Era una lontana parente. Sua sorella Esperia veniva a trovarci ad Ancona. E di Virna parlava spesso anche mia nonna. Sempre tutti con affetto. Avrei voluto incontrarla nel lavoro, ma purtroppo non ho fatto in tempo. È stata un bellissimo esempio, una grande attrice, generosa e discreta. Ogni tanto mi capita che qualcuno su un set mi racconti di lei, e mi fa piacere. Una truccatrice, un macchinista. Dicono sempre cose belle”.
Quando ha capito che voleva fare l’attrice?
“Sentivo il bisogno di fare qualcosa di artistico, sperimentavo tante cose che la mia città offriva: pittura, fotografia, danza; poi sono approdata al teatro e lì ho sentito che parlavano una lingua che conoscevo”.
Ha lavorato con tanti registi e attori. Con chi le piacerebbe farlo ancora?
“Stimo molto Giuseppe Piccioni, lo ritengo tra i migliori registi di attori che conosco: è molecolare nell’indicarti la strada. Mi piacerebbe lavorare anche con persone in cui intravedo quel tipo di sensibilità o una curiosità, ad esempio Laura Samani o Enrico Artale, di cui ho visto a Venezia la serie Il profeta che mi è piaciuta molto”.
Dopo tanti film ed esperienze teatrali, pensa di aver scelto la strada giusta?
“Direi di sì, ma in realtà non l’ho scelta, sono stata spinta a farlo da qualcosa che sentivo e che ho assecondato, mollando tutto il resto”.
Se tornasse indietro, rifarebbe ogni cosa?
“Vai a sapere. Difficile dirlo. Forse riconoscerei prima che l’ambizione non è per forza una cosa negativa, vuol dire prendere sul serio una spinta che sento. È dare credito alla propria voce o talento”.