«Mi sono ritrovato improvvisamente in un mondo tutto rosa». Stefano Saldarelli, 55enne originario di Prato, lo racconta con il tono pacato di chi, con il tempo, ha trasformato una ferita in un simbolo di consapevolezza. Lui, al tempo grafico freelance di 47 anni, non immaginava che la parola cancro al seno potesse riguardarlo. E invece da quella diagnosi del 2017 è iniziato un percorso che lo ha portato a rimettere in discussione il corpo, la vita e perfino il modo di raccontarsi. «Calcolate che non sapevo nemmeno di avere un seno», racconta ironico a Leggo.




Foto di Francesco Bolognini 


 

Delle vacanze particolari

Tutto comincia con un gesto quotidiano, durante una cena di agosto, la sera prima di partire per le vacanze. «È stata mia moglie a salvarmi. Mi ha accarezzato il petto e ha sentito qualcosa di strano – spiega Stefano – io pensavo fosse solo un cicciolino di carne, lei invece ha insistito per fare un’ecografia prima di metterci in viaggio». Dall’ecografia, però, il referto non risulta molto chiaro e così, al ritorno dalle vacanze, Saldarelli si rivolge al suo medico di base. Da lì, l’iter che molte donne conoscono bene: esami, controlli e l’invio immediato in senologia.



La diagnosi

Il verdetto arriva netto: carcinoma mammario. Un colpo duro, quasi un affronto alla sua mascolinità: «Non riuscivo nemmeno a concepire la parola. Perché a me che sono uomo?». Poi la rabbia si riversa sul sistema sanitario, in quanto nella sua famiglia ci sono stati dei casi. «Mia nonna paterna è morta di cancro al seno, mentre mia mamma ha avuto due recidive. Ma nessun medico, né a me né a mia sorella, ha detto di controllarci. È stato uno schiaffo, una presa di coscienza improvvisa». Da quel momento Saldarelli ha deciso di reagire. «Dopo trent’anni di comunicazione ho sentito il bisogno di raccontare, di sensibilizzare. Ho aperto un blog, poi un libro dal titolo “Il cancro al seno non è solo roba da femmine”, e da lì i media hanno iniziato a interessarsi».



Il momento più duro: la chemioterapia

Il percorso clinico non è stato semplice: l’operazione con la rimozione del capezzolo, la cicatrice che all’inizio cercava di nascondere, poi la chemioterapia con poco più di dieci cicli: «Ero freelance, programmavo le sedute di venerdì pomeriggio per avere il weekend per riprendermi. Ma nel giro di otto mesi ho dovuto chiudere lo studio che avevo aperto una settimana prima della diagnosi». Dopo la chemio, la terapia mirata con un farmaco biologico e infine quella ormonale, che ha interrotto dopo cinque mesi. «Mi devastava psicologicamente. In quei giorni ho capito meglio cosa significhi vivere i sintomi e le emozioni della menopausa o del ciclo».


 


La forza, dice, è arrivata dalle sue «due super donne»: sua moglie e sua sorella. E anche da quel mondo rosa in cui si è ritrovato catapultato. «Ho imparato la resilienza osservando le donne che affrontavano il mio stesso percorso», continua Saldarelli.



«Serve più sensibilizzazione»

Oggi Stefano sta bene e continua a prestarsi ai controlli annuali. Si definisce «rinato», dopo aver cambiato lavoro per occuparsi di oro da investimento, diventando manager di un’azienda italiana. Nel tempo libero continua a fare sensibilizzazione, senza nascondere più la cicatrice: «Molti uomini non parlano di questa malattia, la vivono come un tabù. Gli stessi medici sottovalutano la possibilità di contrarlo. Ma esiste, e non riguarda solo chi è sovrappeso o anziano. Io avevo 47 anni, facevo sport e non fumavo».


 


I dati ufficiali parlano di circa 800 casi l’anno in Italia. Un’incidenza bassa rispetto alle donne, che invece annualmente toccano le vette dei 55mila casi, ma sufficiente per chiedere maggiore attenzione. «Siamo anni luce indietro – conclude Stefano Saldarelli – bisogna censire meglio, includere anche gli uomini nelle campagne di prevenzione. Non per togliere spazio alle donne, ma per ricordare che può capitare anche a noi».




Ultimo aggiornamento: domenica 19 ottobre 2025, 07:49





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