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“40 secondi” di Vincenzo Alfieri, nei cinema dal 19 novembre, difficilmente potrà essere scalzato da qualcuno come film simbolo di questa edizione della Festa del cinema di Roma, perlomeno per quello che riguarda il cinema italiano. Il cinema italiano, che naviga in pessime acque sotto molti punti di vista, trova un’opera in grado di essere cinema civile, film di formazione, affresco sociale, in modo semplicemente magnifico, potentissimo. 

“40 secondi” – La trama

La prima cosa che viene in mente, dopo aver visto “40 secondi”, è che non è normale che un film di questa caratura, di questa qualità, non sia stato selezionato per palcoscenici di prima grandezza. Nulla contro la Festa del Cinema di Roma, anzi, ma a vedere cosa l’Italia ha mandato alla Biennale quest’anno e soprattutto la scarsità della nostra presenza a Cannes, ebbene c’è da mangiarsi le mani, le braccia pure. 

Willy Montero, quei 40 secondi che nel settembre del 2020 gli costano la vita a Colleferro, per mano dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi, lo ricordiamo tutti, fu un fatto di cronaca che lasciò sbigottiti. Vincenzo Alfieri sforna il suo film migliore, quello più maturo, più moderno, più intrigante, una ventata di verità, di freschezza e coraggio in un panorama, quello italiano, che qualitativamente da tempo dà segnali preoccupanti, per non dire peggio. “40 secondi” è esattamente ciò che dovremmo offrire al mondo, è quel tipo di cinema che dobbiamo aiutare, spingere, perché ha dalla sua una qualità di regia, sceneggiatura, di sguardo e interpretazioni come non si vedeva da tanto, tantissimo tempo. 

Vincenzo Alfieri divide il film in episodi, ognuno dedicato a un personaggio di quella vicenda, ma più in particolare di quel mondo, quella palude esistenziale di Colleferro, dove Willy Monteiro (Justin De Vivo) sogna di diventare un grande chef, di cambiare la sua vita.

 Quei 40 secondi che gli costano la vita però non arrivano per caso, sono il prodotto di quella Provincia dimenticata, diroccata, ignorante e chiusa, di una fauna umana che ha nei fratelli Marco (Luca Petrini) e Gabriele (Giordano Giansanti), i predatori naturali. Vincenzo Alfieri non commette l’errore di fermarsi però a quel fatto, di farne il centro. Nossignore, per lui conta farci comprendere la dimensione esistenziale, culturale e sociale che li ha prodotti.

 Colleferro è un buco nero che inghiotte speranze, famiglie, gioventù, non succede nulla, mai, in quel nulla è facile che accada di tutto. “40 secondi” è un viaggio dentro una gioventù bruciata, ingabbiata in un mondo tribale, che non permette a nessuno di andare fuori da certe rotaie, da quella prigione invisibile, arcaica, patriarcale e machista. Ecco cosa ha ucciso Willy, il posto in cui era nato. 

Un film perfetto perché capace di spiegarci l’origine di tutto

Willy in realtà appare solo alla fine, prima ecco che conosciamo Cosimo (Enrico Borello, talento assurdo) e Maurizio (Francesco Gheghi). Il primo è un lacché dei due Fratelli Bianchi, un piccolo tuttofare manipolatore, carismatico, furbo e assieme stupido. Tiene nel taschino Maurizio, insicuro, solo, appena mollato dalla ragazza, ma assai meno innocuo di quanto sembri. 

Poi ecco lo stuolo di amici, conoscenti, colleghi e la famiglia di Willy, le ragazze che sognano di andarsene come Michelle (Beatrice Puccilli), perché sanno che lì bene o male sarà sempre stessa storia, stesso posto, stesso bar. La direzione degli attori da parte di Vincenzo Alfieri è mirabile, non si ha mai, neppure una volta, l’impressione di essere dentro una fiction, in virtù anche di una regia stretta, strettissima, dinamica, che permette alla sceneggiatura di Alfieri e Giuseppe Stasi di sviluppare ogni potenzialità in libertà. La fotografia di Andrea Reitano aggiunge il tono semi-documentaristico all’insieme, che però non è mai freddo, distaccato, non è mai privo di un calore umano che trasuda da ogni inquadratura, ogni dialogo. 

Parlarci della gioventù è da sempre un compito difficile, anzi ostico, per ogni regista. “40 secondi” alla fine diventa un viaggio unico perché è in grado di farci capire come e perché abbiamo fallito, abbiamo sbagliato, perché questo paese non merita niente dell’energia di questa generazione. Maurizio Lombardi e Sergio Rubini sono i due innesti di rilievo del film, piazzati al momento giusto, al posto giusto, assieme a un Francesco Di Leva, la cui incapacità di azione o quasi nei panni di un Maresciallo, non è affatto casuale. 

La morte di Willy Monteiro è la naturale conseguenza della latitanza dello Stato, delle istituzioni, della scuola ma soprattutto della società. Alfieri ci mostra il credo consumista e ignorante che ha prodotto due ragazzi come i Bianchi, ma anche la logica del branco, l’arretratezza dei modi, la provincialità delle borgate, piccoli regni arcaici, dove le ragazze diventano proprietà o passatempo.

“40 secondi” nella semplicità del suo messaggio, nella fluidità del suo insieme, è la dimostrazione che il talento e le potenzialità ci sono ancora nel nostro cinema, magari è ora che qualcuno più in alto se ne accorga.

Voto: 9