Hollow Knight: Silksong e The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom possiedono molte caratteristiche in comune, nel reame dell’astrazione ben più che in quello pratico.

I due giochi hanno avuto un’ideazione sostanzialmente identica: entrambi sono nati per succedere a opere straordinarie, quasi coeve. Entrambi hanno avuto un periodo di sviluppo molto lungo, ben oltre le aspettative iniziali. Entrambi, soprattutto, sono nati come DLC, per poi diventare troppo grossi, troppo grandi e ambiziosi per rimanere confinati in siffatta natura. Ma, ed è la circostanza che maggiormente ci interessa, il punto di partenza è stato lo stesso: sono entrambi corpi originati da una costola dell’opera primigenia.

The Legend of Zelda nella sua storia ha proposto pochi seguiti diretti, ed è ironico da sostenere per una saga da decine e decine di episodi, che esiste da quasi quarant’anni. Con questa formulazione verbale, l’avrete intuito, ci riferiamo a quei sequel che sono direttamente, strettamente collegati al predecessore. In termini di trama, asset, contenuti. Breath of the Wild è stato un trionfo troppo grande, evidentemente, per non generarne uno. La stessa cosa, in proporzioni del tutto imparagonabili, essendo stato sviluppato da un nucleo creativo di tre persone, è accaduta a Hollow Knight.

Sono due seguiti estremamente conservativi di altrettante opere dall’impatto dirompente. Sono nati entrambi con l’obbligo di eccellere, e con la condanna ad essere, per il loro stesso codice genetico, non rivoluzionari. Fratelli minori costretti a non deludere. Per ottenere lo stesso risultato, tuttavia, hanno scelto percorsi quasi opposti.

Vecchia mappa, nuovi poteri

La principale distinzione tra i due riguarda l’approccio al mondo di gioco. E non è certo una questione secondaria per delle opere che puntano grandemente sull’esplorazione.

Le Isole Celesti di Tears of the Kingdom, un'aggiunta alla mappa di Breath of the Wild

Le Isole Celesti di Tears of the Kingdom, un’aggiunta alla mappa di Breath of the Wild

Tears of the Kingdom ha riciclato tutto il motore fisico e chimico da Breath of the Wild. È ambientato qualche anno dopo il predecessore, e sfrutta la stessa identica Hyrule. Ci sono aggiunte e alterazioni qua e là: nuovi accampamenti, delle grotte assenti in precedenza, una pletora di contenuti (al limite dell’opulenza, a volte) ma, a livello esperienziale, l’idea era proprio quella di “tornare lì e scoprire cos’è cambiato”. Che è una bella idea, in effetti, pur con delle criticità endogene.

Alle alterazioni della vecchia Hyrule, Aonuma e Fujibayashi hanno aggiunto un immenso mondo sotterraneo, il Sottosuolo, una versione simmetrica e buia della morfologia soprastante. Ad accompagnarlo sono spuntate le Isole Celesti, delle lande, spesso di modeste dimensioni, fluttuanti sopra Hyrule. C’è stato un ampliamento notevole della mappa, ma il fulcro dell’azione è rimasto in superficie: il Sottosuolo e le Isole fungono per lo più da appendici. Il primo è enorme, ma scarsamente definito e dettagliato, utile principalmente a racimolare materiali e oggetti. Le seconde sono piccole, e quasi sempre finalizzate alla risoluzione di singole sfide. Il Sottosuolo è troppo vago e selvaggio per tenere testa ad Hyrule, mentre le Isole fin troppo rifinite e limitate.

I poteri Ultramano e Fusione sono ciò che dona unicità a Tears of the Kingdom

I poteri Ultramano e Fusione sono ciò che dona unicità a Tears of the Kingdom

L’identità di Tears of the Kingdom non si trova in queste zone, ma nelle rinnovate capacità di Link, più potenti che in passato, atte a sublimare la natura sandbox degli Zelda “open air”. Ultramano permette di unire oggetti e strutture in modo libero e creativo, Fusione di originare armi ibridando tra loro due strumenti. La principale distinzione tra Breath of the Wild e Tears of the Kingdom sta proprio qui, nella verticalità dell’esperienza del giocatore.

Nuova mappa, vecchi poteri

Hollow Knight: Silksong ha percorso una strada quasi contraria. Il protagonista è diverso, è vero, ma l’interazione col mondo, e molti degli attacchi, sono simili a quelli del primo capitolo.

Hornet, la protagonista di Silksong, è molto più funambolica del Cavaliere di Hollow Knight

Hornet, la protagonista di Silksong, è molto più funambolica del Cavaliere di Hollow Knight

Hornet è più veloce, dinamica e acrobatica del Cavaliere, più elegante e armoniosa nei movimenti: queste distinzioni hanno permesso l’introduzione di sezioni platform straordinarie, che non richiedono soltanto precisione e riflessi, ma contemplano anche cambi di ritmo e discreti funambolismi aerei, tali da ricordare Celeste. Il Cavaliere è un personaggio greve e “orizzontale”, quanto Hornet risulta leggiadra e “verticale”.

Ma, diversamente da Tears of the Kingdom, non sono i poteri del protagonista a determinare l’essenza del gioco. È la sua mappa: Lungitela, se non nell’estetica, non ha nulla in comune con Nidosacro. È più grande ed elaborata, ha una quantità di nemici, mostri e boss incredibile da credere: come ha sapientemente sottolineato Lorenzo Mancosu nella nostra recensione, “è un videogioco che, sulla carta, non dovrebbe esistere”.

Lungitela, il mondo da esplorare, è la vera novità del gioco

Lungitela, il mondo da esplorare, è la vera novità del gioco

Lungitela ha delle raffinatezze che tutti intuiranno, e a cui pochi presteranno attenzione. Oltre alla complessità strutturale, alle decine di sorprendenti concatenazioni, alla profondità delle aree che si svelano gradualmente visita dopo visita, ho trovato eccezionale la cura nelle transizioni visive da una zona all’altra. Niente è lasciato al caso. Se state passando da una sezione desertica a una artificiale, ad esempio, c’è almeno un luogo che fonde le due anime. E questo avviene per ogni singola connessione. Ogni-singola-connessione. Significa che se un’area è legata ad altre quattro, ci sarà un nucleo tematico declinato, ai confini, in altrettante maniere diverse.

Senza perderci in ulteriori elogi a Silksong, il punto, lo ribadiamo, è questo: nonostante i differenti poteri di Hornet, il cuore del sequel risiede nel design originale di Lungitela.

Affinità e divergenze

Posto che si tratta di scelte di design equamente rispettabili, le strade intraprese lascerebbero supporre che Silksong, rispetto a Tears of the Kingdom, sia maggiormente diverso dal predecessore. In realtà, nonostante la mappa inedita, è vero il contrario.

Questo perché, concettualmente, Silksong è del tutto affine al capostipite. Hanno lo stesso obbiettivo, perseguito in maniera differente. In Breath of the Wild, la stupefacente ludicizzazione delle fasi esplorative, attraverso i poteri di Link, il motore fisico, l’interazione e le conseguenti dinamiche emergenti, servivano a magnificare le – abitualmente – stantie sezioni di spostamento tipiche degli open world occidentali. Non era la finalità dell’avventura: era un modo per rivoluzionare il concetto stesso di viaggio.

In Tears of the Kingdom, invece, quelle meccaniche sono finite nel nucleo stesso dell’opera. L’utilizzo di Fusione e Ultramano, indipendentemente dalla zona o dal compito, sono gli elementi che conferiscono unicità al gioco. Non c’è più una relazione biunivoca tra interazione ed esplorazione, come accadeva invece in Breath of the Wild.

Lungitela è una nuova terra da affrontare, che propone ambientazioni e sfide inedite rispetto a Nidosacro, il cui attraversamento tuttavia è del tutto assimilabile, per sensazioni, finalità e progressione, a quello esperito in Hollow Knight. Non c’è un cambiamento radicale nel bilanciamento delle cellule di game design che costituiscono l’anatomia dell’opera.

Considerazioni

Silksong e Tears of the Kingdom sono due seguiti derivativi e conservativi, entrambi eccelsi, pur nelle diverse intercapedini di design in cui si sono infilati.

Una nuova mappa e un nuovo mondo sono troppo importanti in un gioco esplorativo, e Lungitela è eccelsa

Una nuova mappa e un nuovo mondo sono troppo importanti in un gioco esplorativo, e Lungitela è eccelsa

La prima considerazione che proponiamo riguarda l’esistenza stessa di questi giochi. I risultati straordinari ottenuti, come tali dovrebbero essere considerati: straordinari, appunto. Non possono costituire un modus operandi canonico, uno standard da perseguire. Non casualmente, in casa Nintendo l’unico titolo a vantare un iter simile, quantomeno nelle saghe a budget elevato, è stato Super Mario Galaxy, un altro gioco epocale. Sono dei seguiti talmente puri e diretti da essere giustificabili soltanto con una base di partenza non buona, non ottima, bensì eccezionale.

Le meccaniche sandbox, in Tears of the Kingdom, nel definire l'identità del gioco, hanno il sopravvento sull'esplorazione

Le meccaniche sandbox, in Tears of the Kingdom, nel definire l’identità del gioco, hanno il sopravvento sull’esplorazione

Infine, e questa è una mia semplice opinione, ho percepito Silksong come un gioco più riuscito di Tears of the Kingdom, e non parlo necessariamente di qualità. Mi ha ricordato quanto sia importante, in un titolo esplorativo, la scoperta di una mappa inedita, indipendentemente dall’eccezionalità dell’engine e dalla purezza delle meccaniche. Se l’impatto iniziale mi è sembrato fin troppo conservativo, al contrario di quello di Tears of the Kingdom, a lungo termine la varietà e la complessità di un mondo inedito, nonché la sua scoperta, mi hanno coinvolto in un modo che le pirotecniche meccaniche sandbox, avulse dall’esplorazione di nuovi e attraenti territori, non sono riuscite a fare.

La sensazione di avventurarsi nell’ignoto, la comprensione e la conquista dello sconosciuto, è ciò che, in fondo, desideriamo da questi giochi. Le meccaniche dovrebbero servire ad esaltare e rinnovare questa esperienza: rappresentano un mezzo, non un fine. Scoprire Lungitela mi ha lasciato questa convinzione.