La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva dato ragione ad una società casertana attiva nel commercio all’ingrosso di componenti elettronici, in una controversia su una presunta frode IVA relativa all’anno 2009. 

Il caso: una cartella, una “cartiera” e l’IVA detratta

Tutto nasce da un avviso di accertamento notificato alla società per indebita detrazione di Iva su fatture emesse da un’altra società ritenuta dall’Agenzia delle Entrate una società fittizia o “cartiera”. Secondo l’Amministrazione, la ‘cartiera’ acquistava partite di telefoni cellulari da fornitori comunitari in esenzione d’Iva, per poi rivenderle sul territorio italiano senza versare l’imposta incassata, mentre la società ricorrente portava in detrazione l’IVA esposta in fattura.

La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta aveva inizialmente accolto il ricorso annullando l’accertamento. Decisione confermata nel 2016 dalla CTR della Campania, che ritenne l’Agenzia incapace di provare, anche solo per presunzioni, la “connivenza dell’acquirente” con il fornitore fittizio.

La Cassazione: errore sul principio di diritto

Contro tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, denunciando la violazione di numerose norme fiscali e civilistiche. Secondo la difesa erariale, la CTR avrebbe completamente frainteso il meccanismo dell’onere della prova nelle frodi IVA. I giudici della quinta sezione civile della Suprema Corte – relatore Tania Hmeljak, presidente Giovanni La Rocca – hanno accolto il ricorso, affermando che: “In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’IVA non è detraibile se versata a un soggetto fittizio, e l’Amministrazione ha l’onere di dimostrare, anche con presunzioni, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere – usando l’ordinaria diligenza – che partecipava a una frode”.

La Cassazione ha sottolineato come non basti la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti per escludere la responsabilità del contribuente, se emergono indizi gravi – come in questo caso – dell’inesistenza sostanziale del fornitore: l’assenza di strutture, personale, versamenti IVA e la vendita a prezzi sotto mercato sono tutti elementi che avrebbero dovuto mettere in allerta un operatore accorto.

La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa a una diversa composizione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, che dovrà riesaminare il merito della controversia applicando i principi stabiliti, oltre a pronunciarsi sulle spese di lite.