TORINO – Dal buio dell’estate alla rinascita nella classica d’autunno per eccellenza. Il sorriso è tornato a splendere sulle labbra di Michael Matthews, dopo momenti in cui non solo la bici ma la stessa vita sembravano sfuggirgli dalle mani. 

All’immediata vigilia dello scorso Tour de France, tutte le certezze si sono sgretolate e un’embolia polmonare ha costretto la colonna portante della Jayco-AlUla a ripartire da zero e interrogarsi su tutto. Non sapeva quando e se sarebbe tornato, ma Bling, abituato a risplendere in sella proprio come ricorda il suo soprannome in gruppo, non ne voleva proprio sapere di scomparire in un tunnel. Col sostegno del team e della famiglia, l’estroso australiano si è ripreso la vita di prima e anzi, ammette di aver ancor più motivazione. La fuga al Lombardia, non proprio la sua classica prediletta, ne è la testimonianza e il sogno di lasciare ancora il segno alla Milano-Sanremo l’anno venturo è di nuovo vivido. 

Giro di Lombardia 2025, Michale Matthews nella stessa fuga di Filippo GannaLa fuga di Matthews al Lombardia gli ha permesso di avvantaggiarsi e di chiudere al 21° posto

Criterium Japan Cup 2025, Michael MatthewsDopo il Lombardia e le visite a Torino, Matthews è volato in Giappone

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Che cosa vuol dire essere tornato così competitivo come hai dimostrato al Lombardia?

Attaccare era il nostro piano sin dalla partenza. Sapevo che la miglior opzione per ottenere un buon risultato al Lombardia per me era di avvantaggiarmi subito e mi è andata bene perché mi sono trovato in una fuga davvero interessante. Bisognava avere buone gambe per far parte di quel gruppo, ma anche per rimanerci: per fortuna le mie erano ottime. A pensarci ora, sarebbe stato interessante anche usare una tattica più attendista e vedere come avrei potuto reggere se non fossi andato in fuga, ma sono felicissimo del piazzamento e delle sensazioni che ho provato. Sono sulla strada giusta per tornare al mio livello dopo i problemi di salute che ho avuto. Peccato che la stagione stia già volgendo al termine.

Ci racconti quanto è stato difficile superare il momento che hai attraversato e puoi ripercorrere quei giorni?

E’ stata una montagna russa di emozioni. Avevo appena finito il camp di tre settimane ed ero tecnicamente pronto per il Tour de France, quando è sopraggiunto questo problema. Aver lavorato così tanto per un obiettivo ed essere fermato da una diagnosi medica è stato complesso, anche perché non sapevo quali sarebbero stati gli strascichi di questo problema. Non avevo idea se sarei tornato in bicicletta e nemmeno se sarei sopravvissuto o sarei morto. Nessuno sapeva dirmi quali sarebbero stati i passi successivi sia nella mia carriera sia nella mia vita.

Quale è stato il passo successivo?

Una volta trovato il problema e la procedura per risolverlo, è cambiato tutto. Ho capito che sarei stato meglio e che non sarei morto, dopodiché ho voluto subito capire che cosa avrei dovuto fare per tornare al mio livello di prima in bici. Ho realizzato in quei momenti quanto amo questo sport e quanto mi piace il mio lavoro come ciclista professionista.

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael Matthews, Alberto DolfinL’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael Matthews, Alberto DolfinL’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)

Come hai svoltato strada?

L’idea di perdere tutto per i problemi di salute mi ha motivato ancora di più a tornare più forte, con la fame di vincere ancora. Ci sono state giornate in cui ero smarrito, in cui non sapevo in che condizioni mi trovavo, ma grazie a mia moglie e alla mia famiglia sono riuscito a restare lucido mentalmente.

Ci sono stati tanti momenti difficili?

Ero depresso, mi chiedevo se la vita fosse finita. Sono stati quattro mesi della mia vita molto tumultuosi, ma sono qui ora e, grazie alla forma attuale e agli ultimi risultati, sono orgoglioso di quello che sto facendo. Cerco di vedere il lato positivo e penso di esser riuscito a superare una situazione molto difficile e ne sono uscito col sorriso sulle labbra e con gambe che mi permettono ancora di battagliare coi più forti al mondo.

Come hai capito che saresti tornato al tuo livello?

Difficile da dire perché ci sono stati tanti alti e bassi. Non riuscivo a essere costante, avendo perso molte corse. A Plouay era già andata molto bene visto che non gareggiavo da mesi e sono riuscito subito a cogliere il podio in una corsa così sfiancante. Ho capito che ce l’avrei fatta, ma poi mentalmente non è stato facile accettare le controprestazioni delle uscite successive. Per fortuna, dopo i mondiali, nelle corse italiane ho trovato continuità e sono riuscito a recuperare meglio tra una e l’altra.

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael MatthewsQualche lavoro di mobilizzazione della spalla per Matthews a Torino (foto Matteo Secci)

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael MatthewsPronto per l’inizio di una sessione di plank. Nell’Istituto sono passati tutti i corridori della Jayco-AlUla (foto Matteo Secci)

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael MatthewsQualche lavoro di mobilizzazione della spalla per Matthews a Torino (foto Matteo Secci)

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael MatthewsPronto per l’inizio di una sessione di plank. Nell’Istituto sono passati tutti i corridori della Jayco-AlUla (foto Matteo Secci)

La costanza è la parola che meglio ti descrive guardando i numeri della tua carriera: che cosa ti porti delle ultime settimane per la prossima stagione?

Il sogno si chiama sempre Milano-Sanremo, ma ora sono dieci volte più motivato di prima. La mia carriera poteva finire quest’anno per colpa della salute o dei problemi mentali che ho avuto in seguito allo stop, per cui il fatto di aver superato quegli ostacoli così insidiosi mi spinge a credere ancora in me stesso. Nelle corse italiane avevo la testa sgombra come non mai e anche i dottori dicono che ho il corpo di un venticinquenne. Il fatto che me lo dicano ora che ne ho dieci in più non è così male.

Quanto è cambiato il ciclismo?

La mia carriera è molto lunga e passa attraverso diverse generazioni. Ho cominciato ai tempi di Boonen, ho sfidato Sagan nel mezzo e ora sono nell’era di Tadej. Sfortunatamente, ho incrociato sulla mia strada questi alieni che in bicicletta sanno fare cose stellari. Io cerco di fare il mio meglio e sono orgoglioso di come nel corso del tempo mi sono adattata a diversi modi di correre. Mi manca ancora il sigillo in una Monumento o in una grande classica che ho sfiorato più volte. Poi, l’anno prossimo il Tour de France comincerà con una cronosquadre, per cui la mia esperienza può essere utile anche in quell’occasione. Per il momento, mi godo ogni secondo e il fatto di essere tornato il Michael di sempre. Voglio soltanto continuare a divertirmi.

Si può dire che quello che ti è successo ti ha allungato la carriera?

Penso proprio di sì. Mi ha fatto realizzare quello che ho e apprezzare ogni singola opportunità che mi sta capitando.