
Foto: Il Tempo
19 ottobre 2025
Miracolo a Gaza. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Anche in Paradiso la pensano così. Ma Karol Wojtyla, sorseggiando un bicchiere di kompot e volgendo uno sguardo disilluso verso la Terra, sospira: «La grande speranza dei due Stati, Israele e Palestina, è ancora lontana. Ne parlavano già quando camminavo tra le pietre di Gerusalemme. Ma, da allora, hanno costruito più muri che ponti». Giulio Andreotti, intento a leggere le Philippicae di Cicerone — proprio nel passo sulla guerra e la pace —, alza appena lo sguardo e commenta: «Per arrivare ai due Stati, serve il coraggio di disarmare, non solo di firmare. Ma l’idea di Hamas trasformata in polizia municipale…mi fa venire proprio l’orticaria». Francesco Cossiga gli fa eco: «Israele e Palestina devono riconoscersi reciprocamente come Stati e sciogliere le milizie. Finché c’è un kalashnikov per ogni fede e una milizia per ogni quartiere, non ci saranno mai due Stati, ma sempre e solo due guerre. Sant’Agostino direbbe che la pace è un ordine, non una ninna nanna». Andreotti annuisce: «Quando l’odio pesa più delle armi, nessuna pace potrà decollare. Gli israeliani hanno il senso della storia, i palestinesi hanno il senso del dolore». E Ratzinger con un libro in mano: «Lo racconta bene Rachid Benzine ne ‘Il libraio di Gaza’, il vecchio Nabil, nato nel 1948, e da sempre ostaggio di quella tragica lotta senza fine dove l’umanità non ha più cuore, sa che la sofferenza la si eredita e non può sparire con una firma». Il Picconatore, infilando in tasca il suo mini-Starlink, conclude secco: «Allora servirà più fede che diplomazia». Poi, rivolgendosi a Wojtyla, più deferente: «Santità, c’è molta verità nelle sue parole, oggi la distanza tra la promessa e la realtà è più lunga del Giordano. Ogni volta che si tenta la pace, qualcuno scopre che la guerra è più redditizia».
Andreotti, aggiustandosi gli occhiali ricorda: «Ho sempre detto, invano, che il processo di pace deve andare avanti, anche se qualche disgraziato tenta di fermarlo con un’azione avventata. Ma non illudiamoci: i terroristi, nel nome di Allah sparsi ovunque anche da noi, non vanno mica in cassa integrazione…». Cossiga, nervoso, si accende una sigaretta e sbuffa: «Finché laggiù pregano lo stesso Dio in direzioni diverse, non ne usciranno mai. Servirebbero due popoli disarmati e due Dio che si mettano d’accordo sul confine». Santa Madre Teresa, con voce mite, lo mette a tacere: «Dio non divide. Sono gli uomini a mettergli il filo spinato nel cuore. Preghiamo perché non sia solo una pausa. Anche le pause possono diventare preghiere». «Il miracolo di Gaza!», esclama l’ex presidente della Repubblica, battendo il pugno sul tavolo, «Trump, santo subito!». Andreotti, con lo sguardo severo: «Santo subito, come il grido che si levò per Giovanni Paolo II? Non scherziamo Francesco. Qui abbiamo già molti santi in lista d’attesa». Madre Teresa sorride: «Il Signore si serve anche dei peccatori. » Wojtyla sospira: «Nel ’94 dissi ad Arafat che la pace era un dono fragile. Mi rispose: ‘Allora custodiscila tu’. Ma non potevo. Non basta un Papa. Servono uomini e donne che scelgano la pace anche quando non conviene». Cossiga: «E non bastano nemmeno gli americani. Soprattutto se il capocantiere è Donald che come me gioca a poker e bluffando e azzardando ha stupito il mondo e ora ci vuole riprovare con la guerra in Ucraina».
Un lampo bianco squarcia la volta celeste, due figure emergono dal bagliore: Yasser Arafat, con la kefiah e lo sguardo stanco, e Yitzhak Rabin- già giovanissimo militare della Palmach, la forza d’élite dell’Haganah, la milizia ebraica che operava in Palestina – ora rigido come un generale che ha smesso di credere nelle mappe. Si guardano, esitano, poi si sorridono. Con un affabile «Benvenuti!», li accoglie Wojtyla. «Santità» dice Rabin, «La pace in Terra Santa è ancora in bozza. Ogni firma laggiù vale finché l’inchiostro non si asciuga». Arafat annuisce: «Eppure, dopo tanto tempo, a Gaza i bambini hanno finalmente sorriso e non si udivano spari nemici. Forse è un segno». Cossiga, pragmatico: «Per ora gli americani garantiscono, i qatarioti pagano, gli egiziani sorvegliano e i turchi si infilano dappertutto. E la nostra Giorgia, unica donna tra i potenti, tenta di mettere un po’ d’ordine nella riunione di condominio». Da dietro una nube, risuona una voce ferma, solenne: è Paolo VI, con lo stesso passo con cui, nel 1964, aveva toccato la Terra Santa per la prima volta: «Fratelli miei» dice con tono grave «ricordo ancora Betlemme. Credevo che quel viaggio potesse seminare speranza». Wojtyla categorico: «Quel viaggio, Santità, ha aperto una porta. Forse qualcuno oggi sta provando ad attraversarla». Il Papa pellegrino sorride: «Le porte non mancano, sono gli uomini che hanno paura di varcarle». Madre Teresa aggiunge piano: «Dio non firma accordi, ma guarda i volti. Se anche solo un bambino dorme tranquillo stanotte, allora ne è valsa la pena. La pace comincia nei letti, non nei palazzi».
Rabin mormora: «Quando firmai Oslo, nel 1993, pensavo di costruire un futuro. Invece ho firmato la mia condanna. Ma se anche un solo uomo vivrà senza sentirsi nemico, ne sarà valsa la pena». Arafat lo guarda ammirato: «Tu eri un generale, io un terrorista. Ci hanno premiato insieme con il Nobel e siamo morti con la stessa utopia». Wojtyla riprende la parola: «La pace non si conquista, si consegna. Ma per consegnarla, bisogna rinunciare alla vittoria». Poi china la testa, quasi in preghiera: «La pace è una fiamma piccola. Basta un soffio d’odio per spegnerla, ma anche un respiro d’amore per farla crescere». Silenzio. Poi Cossiga rompe l’incanto: «Brindiamo, allora. Non alla pace, è troppo presto, ma alla tregua. È già qualcosa». Un giovane angelo, defilato dietro una nuvola, domanda timidamente: «Credete che durerà?». Andreotti alza il sopracciglio e risponde con la sua ironia impenetrabile: «La politica non è il Paradiso, niente dura per sempre». Wojtyla, portandosi la mano sul petto, sussurra: «Beati i costruttori di pace». Arafat, abbracciando Rabin, si concede un sogno: «Dicono che presto ricostruiranno strade, ospedali, case. Forse, stavolta, costruiranno anche un futuro». Andreotti, con la consueta malignità gentile: «Ah, la ricostruzione! L’unica pace che mette d’accordo tutti: immobiliaristi, banche, ingegneri e appaltatori». Cossiga gli va dietro: «In fondo, ogni miracolo ha bisogno di un’impresa edile». «Già» chiosa Andreotti «e dicono che tra gli italiani se la caveranno bene i Caltagirone e i Salini». «Questa poi!» irrompe esasperato San Pietro, spalancando la porta del cielo. «Volete redigere voi i capitolati d’appalto? Tornate tutti a pregare, che di miracoli amministrativi ne abbiamo già troppi!». La pace sia con tutti voi.