di
Massimo M. Veronese

Carlo Croccolo nel ricordo di Daniela Cenciotti: in auto era spericolato, scelse Peppino ed Eduardo se la legò al dito

Accarezza con lo sguardo le foto del suo Carlo esposte alla mostra sul doppiaggio «Voci tra le Onde» al Maschio Angioino di Napoli: «Non ho nostalgia di lui perché lui è sempre con me». Daniela Cenciotti, attrice, regista, produttrice, è stata per più di trent’anni la moglie di Carlo Croccolo, spalla amatissima e alter ego di Totò ma anche gigante della commedia in proprio, con più di cento film interpretati, da Miseria e Nobiltà a Tre uomini e una gamba, e poi Eduardo, il teatro, la voce di Ollio, il David di Donatello, la vita spericolata, l’amore per le donne. Una in particolare. 
Daniela, come si sono incrociate le vostre vite? 
«Avevo appena finito di doppiare un film, era la fine degli anni Ottanta, e un’amica mi dice: al Sistina Carlo Croccolo cerca un’attrice per uno spettacolo teatrale, gli faccio il tuo nome? Non sapevo chi fosse questo Croccolo. Ma cercavo lavoro e dissi sì». 

L’incontro non è di quelli folgoranti. 
«No. Carlo entrò dall’ingresso degli artisti e mi ritrovai davanti questo signore alto come un barattolo di Coca Cola, con dei capelli rossi, un montone che gli arrivava a mezza gamba e i rayban scuri. Fu uno choc. Ma ai provini sei tu che devi piacere al regista, non il regista a te». 



















































Poi il colpo di scena… 
«Dopo dieci giorni vivevamo insieme. Non ci siamo più lasciati». 

Cosa la conquistò? 
«La bellezza non era certo la sua dote principale… Era molto intelligente, ci sapeva fare, era generoso nel dare e aveva una voce bellissima». 

Ma lei quando lo ha trovato bello? 
«Un paio di volte: in un filmato d’epoca, al ritorno dagli Stati Uniti, ospite di Lascia o Raddoppia. Era veramente bello. Poi intorno ai 70 anni aveva acquistato un fascino nuovo, che non gli avevo mai visto e che mi emozionava». 

Lei aveva 26 anni, lui più di 60. Mai avuto ripensamenti? 
«Ogni matrimonio ha momenti di crisi e noi abbiamo avuto i nostri. Ma l’età non è mai stata una ragione per lasciarci». 

Carlo aveva alle spalle molte storie sentimentali, due matrimoni, due figlie. Gelosa del suo passato? 
«Mai. Era un donnaiolo, uno a cui piaceva vivere a cento all’ora, affermare se stesso in mille modi, ma quello che è stato prima di me riguardava lui, non me e non noi». 

Neanche la love story con Marilyn Monroe? 
«Raccontò ai giornali di un incontro in un ristorante di Los Angeles, di una storia durata poco, di una donna bellissima ma triste. Ma con me neanche una parola. Non è poi che me ne fregasse più di tanto. Ormai che ci potevo fare?» 

Come le ha chiesto di sposarlo? 
«Non me lo ha chiesto. Vivevamo insieme ormai da dieci anni, Carlo aveva appena superato un infarto, ed eravamo a tavola, io, lui, sua figlia, la mia vicina di casa, una mia amica. A un certo punto qualcuno ha detto: ma non è ora che vi sposate?». 

Vi sposate a metà dicembre a Santa Marinella di Roma. 
«C’erano Claudia Cardinale, Pasquale Squitieri, Marisa Merlini. Mario Monicelli è venuto, mi ha aspettato, mi ha salutato, e, com’era nel suo stile, come è venuto se ne è andato via». 

Carlo aveva fama di latin lover, come del resto il padre. 
«Gualtiero, il padre di Carlo, era Carlo ma venuto peggio. Un uomo di grande fascino, colto, mai cresciuto, dalle mani bucate, che correva dietro a ogni gonnella. Un giorno Carlo scrisse alla madre: ti ringrazio per averlo lasciato». 

Carlo diceva: «Mia madre cercava di tenermi a freno a suon di mazzate, non auguro a nessuno un figlio come me». 
«Era un bambino irrequieto e così è rimasto anche da ragazzo. Gli ho sempre detto: se tu avessi avuto la mia età quando ti ho conosciuto mi sarei tenuta alla larga da un tipo come te». 

Ha anche detto di avere «un carattere infame». 
«Era disordinato, casinaro, senza orari, ma la prima cosa di cui mi sono accorta quando lui se ne è andato è che non avevo più nessuno con cui litigare. È una cosa che mi manca moltissimo». 

Cosa la irritava di Carlo? 
«In auto era un pazzo spericolato dal piede pesante. Se guidavo io mi incalzava: supera: dai, vai veloce, corri. Ancora adesso quando guido ce l’ho nella testa che mi grida: vai, vai, vai…». 

È vero che scampò a un rastrellamento nazista? 
«Fu catturato perché ebreo ma finse di avere la scabbia e lo lasciarono andare. Tornato a casa a si mise a gridare sull’uscio “Achtung! Tedeschi! Aprite o sfondiamo la porta!”. La tata, il fratello e il cugino fuggirono terrorizzati. Quando scoprirono che era uno scherzo a momenti lo ammazzano veramente». 

Disse: ho fatto l’attore solo perché pagavano tanto. 
«Sua madre Giuseppina, che era una professoressa di Storia e Filosofia, non lo voleva attore. Era un uomo molto colto, anche un filino snob nonostante fingesse di essere terra terra. Gli mancava un esame e la tesi per diventare medico, aveva talento anche come scultore, aveva esposto a Roma». 

Scrive a mamma di aver conosciuto Ingrid Bergman. 
«La conobbe doppiando Stromboli di Roberto Rossellini. Era una donna dolcissima ma anche molto puntigliosa. Carlo una volta arrivò in ritardo al doppiaggio e lei non fece una piega, poi disse gelida: stavolta passi, ma che non succeda mai più». 

Il grande successo nel cinema arriva con Totò. 
«Si amavano molto, ma io non ero una fan di Totò e non lo era la mia famiglia. Ora lo sono: è stato un grande mai capito fino in fondo, ma la sua santificazione è cominciata dopo la morte, prima era considerato un comico da quattro soldi». 

È noto che quando Totò perse la vista fu Carlo a doppiarlo e che il Principe lo considerava una specie di figlioccio. 
«Non amavo che lo si considerasse il figlioccio di Totò solo per aver recitato con lui per qualche anno. È riduttivo: Carlo ha fatto tantissime cose meravigliose, è molto di più». 

Una magnifica carriera con qualche rimpianto. 
«Quando Eduardo De Filippo litigò con Peppino tutti e due chiamarono Carlo per sostituire il fratello. Scelse di lavorare con Peppino, Eduardo se la legò al dito e non gli parlò più». 

Anche con Fellini andò buca. 
«Lo voleva in Lo Sceicco bianco con Alberto Sordi, ma Carlo stava prendendo il brevetto di pilota d’aereo. Così quando Fellini andò a casa sua per convincerlo non si fece trovare. Giovanni, il maggiordomo, gli disse: il signore sta volando. E Fellini: resti sull’aereo, ma oggi ha perso il treno della vita». 

Il momento più difficile della sua vita? 
«Negli anni 50 fu arrestato sulla porta di casa e accusato di spaccio di droga, passò sei mesi da innocente a Regina Coeli. Nonostante fosse stato assolto da ogni accusa gli restò addosso il marchio dell’infamia e il mondo dello spettacolo lo isolò. Così andò a vivere in Canada: si inventò trasmissioni radiofoniche per gli immigrati italiani e programmi sportivi per la tv». 

Chi non sopportava del mondo dello spettacolo? 
«Aveva un rapporto orribile con Paolo Villaggio. Fecero un film insieme, Camerieri, ma a pelle non si prendevano. Poi qualche ironia fuori luogo sulla sua salute aveva fatto il resto». 

Adesso c’è il suo archivio da far conoscere. 
«Conservava tutto: casse piene di abiti di scena, contratti, copioni, lettere, fotografie. Così ho deciso di digitalizzare tutto per creare un museo virtuale in attesa di costruirne uno vero». 

Poi c’è il premio Carlo Croccolo. 
«Siamo alla quinta edizione. Premiamo il talento artistico ma anche il coraggio di esplorare cose nuove. Finora abbiamo premiato quasi solo donne. A Carlo sarebbe piaciuto». 

Sei anni fa l’addio. Lei ha detto: ha voluto lasciarsi morire. 
«Era un uomo innamorato della vita ma a 92 anni si è scocciato di vivere. Ho cercato di trattenerlo, per un po’ ci sono riuscita, poi non c’è stato più niente da fare. Sei mesi prima che se ne andasse ho trovato una casetta a Pineta di Castel Volturno e siamo andati a vivere lì. Volevo che morisse davanti al mare». 

Qual è l’ultima cosa che le ha detto? 
«Alla fine della sua vita aveva una tenerezza bambina che mi straziava il cuore. E con una vocina piccola piccola mi diceva: come sei bella, Daniela mia, come sei bella…».

20 ottobre 2025