C’è un silenzio insolito, quasi reverenziale, sulle linee dello stabilimento di Melfi. Non il silenzio delle domeniche, ma quello delle chiusure importanti. Nei giorni scorsi è uscita l’ultima Jeep Renegade dalle catene di montaggio del grande stabilimento del Sud Italia. Un momento carico di simbolismo, perché con lei non se ne va solo un modello: si chiude un’epoca. Undici anni, oltre due milioni di unità prodotte, e un destino che non era affatto scontato. Perché la Renegade, fin dal primo giorno, non fu mai una Jeep qualsiasi.
Nel 2014, Jeep scelse di fare qualcosa di radicale: costruire una Jeep fuori dagli Stati Uniti, la prima nella sua storia. E scelse l’Italia e, più precisamente, la Basilicata. Fu un atto audace, figlio di una visione illuminata, quella di Sergio Marchionne e della neonata FCA. Al suo massimo splendore, la Renegade riuscì a sfornare 200.000 esemplari in un anno, tutti partiti dal Meridione d’Italia per colonizzare il mondo.
Un modello che è già storia
Compatta fuori, muscolosa dentro, con linee che ricordavano le glorie del passato (a cominciare dalla Willis), ma proporzioni perfette per le città del nuovo millennio, la Renegade riuscì nel miracolo: portare l’anima Jeep nei vicoli di Roma, tra le buche di Parigi, sulle autostrade del Belgio. Era una Jeep per tutti i giorni, senza essere mai banale. E in un’Europa sempre più affollata di SUV senz’anima, lei restava riconoscibile a metri di distanza. Una piccola ribelle col cuore fuoristrada.
Il successo fu immediato. Le strade iniziarono a popolarsi della piccola americana vestita da italiana, e Melfi divenne il suo fortino. La Fiat 500X, sorella gemella, condivise con lei l’avventura, ma fu la Renegade a imporsi come emblema di un nuovo corso: quello dell’internazionalizzazione industriale, del dialogo tra culture ingegneristiche. Jeep made in Italy. Chi lo avrebbe detto?
Ma anche le storie più luminose hanno un tramonto. Col passare degli anni, il mondo è cambiato. L’elettrificazione ha spostato l’asse dell’automotive. Le normative hanno alzato la voce. I gusti del mercato si sono evoluti, e la vecchia piattaforma della Renegade, pur fedele e robusta, ha iniziato a mostrare il peso del tempo. Stellantis ha preso la sua decisione: niente erede diretta. Almeno, non per ora.
La partita non è ancora chiusa
Al suo posto arrivano nuovi protagonisti. La Jeep Avenger, più piccola e full electric, con un’anima diversa. La nuova Compass, più grande, più moderna, più sofisticata. Melfi si trasforma: da culla della Renegade a polo dell’elettrificazione. Con lei, sulla linea, nasceranno anche modelli come la Lancia Gamma e la DS N8, simboli di un futuro che parla il linguaggio della sostenibilità e della tecnologia. Anche se la popolarità della Renegade sarà difficile da replicare.
In Brasile, la piccola Jeep continuerà a vivere, a percorrere le strade rosse del Sertão, le spiagge di Bahia, le foreste di Minas Gerais. Perché laggiù il cuore da dura non ha ancora smesso di battere. La storia prosegue, seppur limitata a una piccola porzione di mondo, quello che lei aveva conquistato con mestiere, e un pizzico di italianità, negli anni passati. Oggi, nel giorno del suo addio nostrano, la Renegade merita un inchino. Non per i numeri, non per le statistiche, ma per ciò che ha rappresentato. Una Jeep diversa, che non ha avuto paura di cambiare, ma nemmeno di restare fedele a sé stessa. Nel grande libro dell’automobile, la Renegade sarà ricordata come l’ultima outsider che ce l’ha fatta.