Il nuovo direttore del laboratorio. Restauro dipinti e materiali lignei del Vaticano: «Opereremo sul “Giudizio universale” e sulla Loggia del Sanzio nel cortile di San Damaso. Quest’ultimo intervento durerà cinque anni».Professione affascinante e delicatissima quella del restauratore di affreschi. Lo diventa ancor di più quando le opere affrescate sono di così elevato valore artistico da diventare patrimonio dell’umanità. L’1 agosto 2025 Paolo Violini, romano, 62 anni, è stato nominato capo del laboratorio Restauro dipinti e materiali lignei del Vaticano. Allievo del professor Gianluigi Colalucci, che diresse il laboratorio stesso e il faraonico restauro, tra il 1980 e il 1994, definito «del secolo», della Cappella Sistina, entrò nella squadra nel 1988. Ora a lui è affidato il coordinamento di due nuovi restauri programmati dalla Santa Sede. Il primo è quello del celeberrimo Giudizio universale di Michelangelo, in Cappella Sistina, ove si svolge il conclave, voluta da papa Sisto IV Della Rovere. E il secondo della Loggia di Raffaello Sanzio.Quando ci si trova davanti a spettacoli di questo tipo viene il desiderio di immedesimarsi nei momenti in cui Michelangelo e Raffaello stavano affrescando. Capita anche a lei e ai suoi colleghi? «Capita quasi tutti i giorni, perché entrare dentro l’opera, come facciamo noi, ci dà la misura della quotidianità del lavoro. Le racconto un episodio su Raffaello.È molto gradito. «Nella Liberazione di San Pietro abbiamo scoperto, lavorando, che nella figura centrale, quella dell’angelo, dentro la cella con San Pietro, c’era una ridipintura importante nella zona del naso e della bocca. Togliendola, è emerso un colore rosso vivace, vivo. È affiorata una colatura di rosso sangue che usciva dal naso dell’angelo, colava sulla bocca e proseguiva fino al vestito. Era successo un incidente di cantiere. Quando Raffaello vi lavorava, si rovesciarono pennello e ciotola con il rosso cinabro, colpendo la superficie. Circa 15-20 centimetri più in basso c’è l’impronta del dito che blocca la goccia, si vede la ditata».Le dita del pittore… «Certo. Poi ha atteso che si asciugasse e l’ha corretto a secco. Raffaello era un tipo più pratico di Michelangelo, che l’avrebbe rifatto tutto».Ci illustra l’intervento che eseguirete sul Giudizio universale di Michelangelo? «È un intervento di manutenzione straordinaria. Qui ci sono particolarità logistiche. Non potevamo lavorare di notte con i ragni elevatori, perché ci sono zone irraggiungibili, per la presenza dell’altare, degli scalini. Saremo costretti a montare un ponteggio vero e proprio, di 11-12 piani, su tutta la parete, e per quel tempo essa non sarà visibile. Ma ciò riduce i tempi di lavorazione. Potremmo lavorare in 7-8 persone per tutto l’arco della giornata. In circa tre mesi potremmo riuscire a far tutto, compreso il montaggio e lo smontaggio dei ponteggi e, quindi, rendere libera questa parete per la Settimana Santa del 2026. Il ponteggio dovrebbe essere montato attorno al 15 gennaio 2026».Durante questo intervento, la Sistina che, ricordiamo, fa parte del Palazzo apostolico e rientra nei Musei vaticani, chiuderà? «No, la Sistina non chiude, ci sarà solo un ponteggio all’interno».E per la Loggia di Raffaello? «Sulla Loggia ci sarà un vero e proprio restauro, un intervento globale che prende in considerazione aspetti conservativi importanti, anche perché un vero restauro della Loggia di Raffaello non c’è mai stato, ma solo interventi localizzati. Sarà un lavoro lungo e complesso, articolato in 5 anni previsti. Dovrebbe iniziare tra febbraio e marzo del 2026. È stato fatto un cantiere pilota».Esattamente, cosa s’intende per Loggia di Raffaello? «Quando si parla della Loggia, in realtà è il braccio, il secondo piano del cortile di San Damaso, costituito da tre lati. Su ogni lato ci sono tre piani di logge. Le logge che si affacciano sul cortile sono 9. Quella di Raffaello è l’intermedia della parte più antica».Pertanto interverrete su questa… «Interverremo su questa. È un’opera d’arte di primaria importanza, un riferimento della storia dell’arte per la decorazione dei grandi ambienti. Sono stucchi e affreschi decorati “a grottesca”. La grottesca è un motivo decorativo il quale, nell’ambito del Rinascimento, è stato riscoperto da alcuni artisti che si sono calati nelle grotte della Domus Aurea, la villa di Nerone».Tornando al Giudizio universale, sarà restaurato tutto? «Sì, tutta la parete affrescata, dietro all’altare. Non interverremo sulla volta perché, ricordiamo, Michelangelo ha dipinto anche la volta e le lunette».Il Giudizio, rispetto alla volta, è stato dipinto in un secondo momento. È stato scritto che in esso ci sarebbe una visione più angosciata del destino ultraterreno anche a proposito della prospettiva degli inferi. Che ne pensa? «Posso dirle la mia impressione. È chiaro che il linguaggio di un pittore evolve nel tempo. Il Giudizio è stato dipinto dal 1534, diversi anni dopo la volta, che è del 1508-1512. L’invenzione che Michelangelo mette in atto è lo sfondamento completo della parete, l’assenza di architettura e di qualsiasi struttura. Questo grande vortice di persone che si muovono attorno al Cristo crea un senso di angoscia ma anche un pathos. È un grande slancio verso il Barocco».Si può dire ogni quanto sia necessario un restauro di queste opere eccezionali? «Dipende da tantissimi fattori, da problemi costitutivi dell’opera, di conservazione del manufatto, anche dal tipo di restauro che s’intende fare, una pratica che, nel corso dei secoli, è cambiata moltissimo. Le posso dire che, per le nostre opere, normalmente, tra Settecento e Novecento, troviamo tre interventi a secolo. Dal Seicento a oggi le metodologie d’intervento sono cambiate molto ».Come sono cambiate? «Oggi cerchiamo di fare interventi con criteri innovativi tali da consentire un intervallo un po’ più lungo. Tendiamo a mettere sostanze non indispensabili sulla superficie dell’opera con la consapevolezza di andare ad aggiungere ciò che nel tempo si può deteriorare e richiede un altro intervento di restauro».Sul Giudizio, noti furono gli interventi censori di Daniele da Volterra, detto «il Braghettone», per coprire con vestimenti le nudità, come imposto dal Concilio di Trento. «È interessante il confronto con la copia, sempre cinquecentesca, del Giudizio, realizzata da Marcello Venusti, custodita nel museo di Capodimonte, a Napoli, una grande tavola che riporta la situazione antecedente ai primi interventi censori, decisi con il Concilio di Trento, di Daniele da Volterra, il quale fece quelli più importanti a fresco, cioè scalpellando l’intonaco di Michelangelo, mettendo un nuovo intonaco e dipingendo a fresco. La tecnica pittorica è diversa e, dunque, riconoscibilissima».Sono, dunque, pienamente visibili oggi? «Assolutamente sì. Gli interventi sono su San Biagio e Santa Caterina, sull’estrema destra guardando il Giudizio».Nei vostri restauri utilizzate colori o pigmenti simili a quelli usati da Michelangelo? «No, utilizziamo materiali moderni, contemporanei, anche perché uno dei criteri principali del restauro è la riconoscibilità dell’intervento. Bisogna distinguerlo dall’originale. Altrimenti sarebbe una falsificazione. Inoltre, molti pigmenti attivi cinquecenteschi oggi sono irrecuperabili. Pensiamo ai lapislazzuli che Michelangelo ha utilizzato per il cielo. Oggi è una pietra semi-preziosa e, dunque, costosissima. Esiste un blu sintetico, un blu oltremare, che ha all’incirca lo stesso tono. Altri colori che hanno una certa tossicità, come il cinabro, a base di mercurio, o il bianco di piombo, che contiene piombo, oggi non si possono utilizzare, anche per questioni di sicurezza».Quali sono i principali elementi che deteriorano gli affreschi? Incidono i respiri emessi dai visitatori? «Nel nostro caso sicuramente sì. Molti fattori di deterioramento sono legati all’acqua, pioggia, umidità di risalita, infiltrazioni, rotture di tubi. Alla Sistina si tratta di umidità di ricondensa dovuta alla quantità di persone affluite negli anni. A 30 anni dall’ultimo intervento c’è un deposito di polveri, pulviscolo e anche una patina biancastra dovuta ai residui dell’umidità di ricondensa. Tuttavia, i nostri impianti di purificazione dell’aria e di condizionamento, rinnovati, sono un buon rimedio».Nel timore del degrado, Michelangelo intervenne sulle sue opere in Sistina? «No, non mi risulta sia intervenuto. Solo piccole correzioni all’atto stesso dell’esecuzione. Michelangelo interpreta la figura del pittore in modo del tutto originale. Era fondamentalmente uno scultore. E la pittura non la impara per via di una scuola o una bottega, ma la crea a modo suo. Il suo affresco è diverso da qualsiasi altro dell’epoca. Intrecciava le pennellate per creare una vibrazione delle superfici che gli ricordava la vibrazione della scultura. Se c’era da correggere, scalpellava direttamente l’intonaco, lo graffiava, poi stendeva una leggera scialbatura di calce e ritoccava a fresco su calce. Era il suo modo di intendere l’affresco in maniera pura».Ricordando anche il libro di Irving Stone Il tormento e l’estasi, immaginiamo Buonarroti nell’atto creativo. Dev’essere stata una fatica enorme, con il braccio alzato sulla volta. «Assolutamente, possiamo immaginarcelo noi che abbiamo lavorato nelle stesse posizioni, per tempi ridotti e in 5 persone. Una fatica improba. C’è un sonetto in cui descrive ciò, il colore che gli colava sulla testa, le ginocchia massacrate, e un piccolo schizzo, lui con un pennello in mano mentre dipingeva la volta. Dev’essere stato uno sforzo disumano. Immagino si sia anche sdraiato sul ponteggio per poter guardare in alto senza piegare sempre il collo, una delle cause della cervicale».
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