Grazie. È bello vedere della gente che fa tutt’altro mestiere (Rula Jebreal, Andrea Scanzi) difendere comunque i giornalisti e farlo addirittura in piazza, è bello vedere della gente che invece fa proprio quel mestiere (Marco Travaglio, Lirio Abbate) non aver paura di sembrare dei servi di partito a una manifestazione di partito, è bello che usino il pretesto della bomba sotto casa di Ranucci senza curarsi che la bomba sotto casa di Ranucci sembri solo un pretesto, ed è bello presumere (anzi, ne siamo sicuri) che Rula e Scanzi non si faranno neppure pagare per l’ospitata, come invece faceva Beppe Grillo, quando (come loro) faceva ridere, ma alle feste dell’Unità. Grazie. È bello aver letto che Sigfrido Ranucci ha detto che non crede a “mandanti politici” ed essere certi che perciò non ne parleranno: nessuno parlerà di politica, figurarsi se tireranno in ballo il governo. È bello appoggiarsi giust’appunto a un partito (vabbè, movimento) che ha mostrato il disprezzo più sistematico e metodico proprio per i giornalisti: a meno di credere che il Movimento 5 Stelle faccia distinzione tra la massa dei servi e quella delle anime libere, che invece oggi sono praticamente tutte lì, sul palco, a prendere applausi dal pubblico più intelligente e istruito in circolazione. Non quindi “pennivendoli”, “buffoni”, “puttane”, “mafiosi”, “giornalisti di regime” e “strumenti dei poteri forti”, e insomma, cani rabbiosi del potere, da abbattere, non cani da guardia come loro, non cani “da riporto” come scriveva qualcuno. Sono tutte espressioni grilline degli ultimi vent’anni.

Ma è bello non farsi intrappolare dalle parole, fottersene del codice di comportamento che ogni parlamentare grillino dovette firmare nel 2013 dove c’era scritto testualmente: “Evitare la partecipazione ai talk show televisivi”. Era un modo di blindare il messaggio impedendo il contraddittorio, ma è bello anche cambiare, adeguarsi a un Giuseppe Conte che risponderebbe alla chiamata di un giornalista, oggi, anche alle 5.00 del mattino, mentre sta procreando.

Il Movimento doveva parlare solo attraverso se stesso o il blog di Grillo, la piattaforma Rousseau, le dirette Facebook: il resto era disinformazione. Risale al 4 maggio 2014 il celebre post “L’Italia dei pennivendoli” in cui Grillo invocò “tribunali popolari” per i cronisti accusati di “falsificare la realtà” e “mentire ai cittadini”. Nello stesso mese lui denominò il Tg1 “servizietto di regime” e chiese le dimissioni del direttore Mario Orfeo nonché dei cronisti che avevano osato sintetizzare un suo videomessaggio. Nel 2016 Grillo parlò di “livelli vomitevoli di propaganda”, nel 2017 Luigi Di Maio presentò una lista di giornalisti “che diffamano il Movimento”, da consegnare all’Ordine: “Niente di personale”, disse lui. Lo era, ma oggi è preistoria, come Di Maio. Come il nemico da segnare, additare, punire. Da insultare: nel novembre 2018, dopo un’assoluzione di Virginia Raggi, Di Maio e il moderato Alessandro Di Battista diedero alla categoria giornalistica di “sciacalli e “puttane” presto imitati da infiniti lemuri dei social, sempre pronti a gridare “venduto” a chiunque ce l’abbia fatta in qualsiasi mestiere. Nel 2018, a Ivrea, il giornalista Jacopo Iacoboni della Stampa venne fisicamente escluso dalla convention Casaleggio-M5S perché non accreditato, non gradito: gli impedirono l’ingresso e qualcuno scrisse (ma probabilmente sbagliava) che era il primo caso, in tempi democratici, di un partito che decideva chi poteva entrare a un evento pubblico sulla base delle sue opinioni. Preistoria. Era addirittura il 2014 quando Grillo annunciò “un giornalista al giorno da lapidare” sul suo blog. E poi un sacco di altri esempi che neppure ci stanno, in questo articolo di regime: neanche quando Grillo a Marina di Bibbona fu avvicinato da un inviato Mediaset che voleva un commento politico (settembre 2020) e lui gli spruzzò addosso del disinfettante e lo spinse giù da una scala, e meno male che in sede penale (ma non civile) Grillo fu assolto per “particolare tenuità del fatto”. Era folklore, costume. Lo era un po’ meno che il Movimento decise di non presenziare in talkshow dove erano ospiti giornalisti sgraditi come il sottoscritto: era già capitato con Antonio Di Pietro, altro amico di Travaglio.

Ma domani, anzi: oggi è un altro giorno, c’è Conte che si prepara a farsi rieleggere presidente del Movimento con la difesa della libera stampa che fa da sfondo alla sua campagna interna: special guest questo e quello. Altro che bombe, è un inno alla vita. Politica. Anche se Grillo, per anni, non fece che parlare di morti: noi. I giornalisti sono tutti morti, diceva. Oppure: i giornali sono medium, fanno parlare i morti. O ancora: i partiti politici sono tutti morti, e discettava di “zombie che camminano” e di putrefazioni e di fetori.

Anche il suo amico Gianroberto Casaleggio era “morto a causa dei giornalisti”. Oddio: tanto bene, qui, non si sente nessuno, ma qualcuno sopravvive. Oggi, comunque, anche in Piazza Santi Apostoli, ci sarà un Check-out generale.