Il recupero della mentalità vincente, la cura dei dettagli, la fase difensiva, le (tante) soluzioni offensive, la consapevolezza: ecco come il Diavolo sta cucinando l’assalto allo scudetto
Giornalista
21 ottobre 2025 (modifica alle 10:23) – MILANO
Premessa: il termine è abusato, però calza su questo Milan come un vestito sartoriale su misura. La parola in questione è resilienza, che significa – vocabolario alla mano – la capacità di reagire a traumi e difficoltà. Il Milan se li portava dietro tutti. Il trauma della scorsa annata, sportivamente disastrosa. E le difficoltà spicciole prima della partita con la Fiorentina, con l’infermeria di Milanello diventata un ospedale da campo. Due mesi dopo l’avvio di stagione e alla settima giornata di campionato, il Diavolo torna là dove si era arrampicato da solo per l’ultima volta a ottobre di due anni fa. In questo primo scorcio di campionato ci sono già state partite significative e illuminanti: la vittoria di Udine, quella sul Napoli e anche il pareggio mal digerito con la Juve. Un crescendo di condizione tattica abbinata a quella mentale. Ma l’uscita che potrebbe essere davvero una delle svolte stagionali del Diavolo è probabilmente l’ultima con la Fiorentina. Per (almeno) cinque buoni motivi.
capacità di reazione—
È la qualità più evidente esibita dalla squadra nella sfida con la Viola. In termini generali e nello specifico del match. Generali perché il Milan si è ritrovato sul pullman che lo portava a San Siro con soli 13 giocatori di movimento appartenenti alla prima squadra (più due prelevati da Milan Futuro). Ci può essere un certo smarrimento. Nello specifico ovviamente il riferimento va al momento del gol di Gosens. Con una panchina cortissima e l’evidente fatica negli ultimi trenta metri, i progetti di rimonta potevano somigliare a una montagna troppo alta da scalare. Cioè, lo era. In diversi hanno sentenziato che il vecchio Milan questa partita non l’avrebbe vinta. Forse nemmeno pareggiata. Oppure si sarebbe accontentato del classico punto da scampato pericolo. Il nuovo Milan invece ha perseguito una fase offensiva sempre più efficace – soprattutto con l’ingresso di Gimenez e relativo spostamento in fascia di Saelemaekers -, fino all’azione del rigore. In una parola sola: mentalità, che ben si abbina alla resilienza. Un aspetto che in questi primi due mesi Allegri ha allenato ed educato specificatamente.
udine insegna—
E c’è in modo evidente la mano dell’allenatore nei dettagli. Come sottolinea spesso Max, sono quelli che il più delle volte fanno la differenza. Modric che mura Nicolussi-Caviglia, Gabbia che lo imita a pochi minuti dal fischio finale, Leao che va in pressione feroce su Pongracic e gli sradica via il pallone. Sono tutti segnali di una squadra che non si accontenta più. E in quest’ottica assumono ancora più senso le urla rabbiose a Udine di Allegri, confinato in tribuna e furibondo coi suoi per alcune leggerezze sul tre a zero. Così come ha ringhiato duro allo Stadium nella parte finale di una partita che il Milan avrebbe potuto vincere.
la difesa regge—
Il gol di Gosens è brutto perché nasce da un pasticcio di Maignan con la compartecipazione di Gabbia. Ma è l’unico vero pericolo che il Milan ha concesso alla Viola. La stagione prosegue all’insegna dell’impermeabilità, della compattezza, della lucidità. È la prima regola scolpita sulle tavole della legge di Allegri. Esserci riusciti anche in una sfida dove, rispetto a Torino, nell’undici titolare sono cambiati tre giocatori basilari (Rabiot, Pulisic, Gimenez), significa capacità di mantenere un’adeguata fase difensiva a prescindere dagli interpreti. Significa che l’allenatore è riuscito a trasmettere i suoi principi a tutta la rosa.
le soluzioni offensive—
D’accordo, nel primo tempo quei palloni ghiotti sono finiti proprio sui piedi di Tomori e Pavlovic. Che di mestiere fanno altro. E infatti sono finiti sui seggiolini del primo anello blu. Il Meazza si è messo in entrambi i casi le mani nei capelli, ma la questione è analizzabile anche da un’altra prospettiva, decisamente migliore: il Milan si conferma una squadra potenzialmente in grado di mandare in gol tutti i suoi giocatori. L’attacco è spuntato? Le occasioni arrivano ai centrali di difesa. Ci sono state partite in cui i portieri avversari hanno visto sei rossoneri diversi andare al tiro in mezzora. Se migliorerà la cattiveria sotto porta, è un’arma letale.
la consapevolezza—
Tutti le voci di cui abbiamo parlato prima sgorgano in un unico grande bacino, dal quale il Milan aveva smesso di attingere dopo lo scudetto del 2022: la consapevolezza. L’autostima. Acquisire forza osservandosi, e piacendosi. Trovare giocate persino divertenti, perché quando il gioco scorre fluido chi è in campo è leggero nell’animo e più coraggioso nell’interpretazione. Trarre giovamento dall’osservare accanto a sé gente come Modric e Rabiot, che indicano la via maestra. E, ovviamente, la consapevolezza – nella consapevolezza – di essere allenati da un tecnico abituato a vincere e spremere il massimo da ogni partita.
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