di
Ruggiero Corcella

Un microchip fotovoltaico sotto la retina restituisce la capacità di leggere a pazienti con degenerazione maculare, aiutati dall’intelligenza artificiale. Lo studio multicentrico europeo e statunitense, pubblicato sul New England Journal of Medicine, segna una svolta nella lotta alla cecità legata all’età

Per molti pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età (Amd,  Age-related macular degeneration), la perdita della vista centrale è un destino senza appello.  Si inizia con una macchia al centro del campo visivo, poi il volto delle persone, le parole sui libri, persino i numeri sul telefono spariscono. 
Fino a oggi non esisteva alcuna terapia capace di restituire la visione perduta. Ma un gruppo di scienziati europei e americani, che coinvolge l’Institut de la vision (Inserm/CNRS/Sorbonne Université), la Fondation Adolphe de Rothschild, l’Hôpital national des 15-20, la Stanford University e Science Corporation, ha acceso una nuova speranza. 

Grazie a un microchip fotovoltaico grande quanto una briciola di pane, impiantato sotto la retina, alcuni pazienti hanno potuto rivedere lettere, numeri e parole. Lo racconta un ampio studio multicentrico coordinato dall’Institut de la Vision di Parigi e pubblicato sul New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più autorevoli del mondo.



















































Che cos’è la degenerazione maculare (legata all’età)

L’Amd, infatti, è la principale causa di cecità al mondo. Si manifesta generalmente dopo i 60 anni. Circa 5 milioni di persone in tutto il mondo convivono con l’Amd, per la quale attualmente non esiste alcun trattamento. La degenerazione maculare senile è caratterizzata dalla distruzione della macula, la parte centrale della retina responsabile della visione fine e dettagliata, quella che ci permette di leggere o riconoscere i volti, mentre la visione periferica è preservata. Esistono due forme di Amd: l’Amd atrofica è caratterizzata dalla progressiva scomparsa dei fotorecettori che catturano la luce e trasmettono le immagini al cervello, portando alla perdita irreversibile della visione centrale. 

L’impianto 

Il cuore del sistema si chiama PRIMA (Fotovoltaic Retina Implant Microarray): un minuscolo impianto sottoretinico progettato da Daniel Palanker, fisico della Stanford University, e sviluppato da Science Corporation.
Funziona in abbinamento a occhiali a realtà aumentata dotati di una microcamera: le immagini catturate vengono elaborate in tempo reale da un piccolo computer. Gli algoritmi di intelligenza artificiale (AI) nel computer elaborano questi dati e li convertono in segnali elettrici, che viaggiano attraverso le cellule della retina e del nervo ottico fino al cervello. Il cervello interpreta questi segnali come immagini, consentendo ai pazienti di percepire la vista.
Sotto la macula, il microchip — 2 millimetri per lato, 30 micron di spessore, 378 elettrodi — trasforma la luce infrarossa in impulsi elettrici, stimolando le cellule nervose ancora sane e riattivando il circuito visivo che conduce al cervello. Tutto questo senza cavi né batterie: l’energia arriva dal fascio luminoso stesso. Una vera protesi «wireless» della retina. 

Lo studio 

Il progetto PRIMA, sostenuto da Inserm, CNRS, Sorbonne Université e dalla Stanford University (reclutati da 17 centri in Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito), ha coinvolto 38 pazienti, età media: 79 anni, tutti affetti da forma atrofica della degenerazione maculare — la più grave, quella in cui i fotorecettori muoiono e la visione centrale sparisce del tutto. Per essere inclusi nello studio clinico, il risultato di questo test doveva essere un punteggio logMAR ≥ 1,2 per almeno uno dei due occhi, ovvero la virtuale impossibilità di leggere le lettere visualizzate.
Dopo l’impianto, i pazienti hanno seguito mesi di riabilitazione visiva per imparare a usare il sistema: regolare lo zoom, mettere a fuoco, distinguere lettere e simboli.

I risultati

La loro vista è stata valutata sei e dodici mesi dopo l’intervento chirurgico. L’endpoint primario di efficacia stabilito dagli sperimentatori era la percentuale di partecipanti con un miglioramento dell’acuità visiva di 0,2 logMAR o superiore. Un totale di 32 persone ha completato lo studio.

A un anno dall’intervento, l’81% dei partecipanti ha mostrato un miglioramento dell’acuità visiva di almeno 0,2 logMAR, l’equivalente di dieci lettere in più nella classica tabella oculistica.
Il 78% è andato oltre, arrivando a leggere 15 lettere o più. E un paziente ha raggiunto un guadagno straordinario: 59 lettere, quasi un’intera riga di lettura recuperata.
Ancora più significativo, l’84% dei pazienti ha dichiarato di riuscire a leggere lettere, numeri e parole nella vita quotidiana, grazie alle funzioni di ingrandimento e contrasto. La visione periferica — quella naturale — è rimasta intatta.
«Per la prima volta», spiega José-Alain Sahel, oftalmologo di fama mondiale e coautore dello studio, «un impianto sottoretinico ha permesso a chi aveva perso la visione centrale di tornare a leggere, mantenendo intatta la vista periferica. È un risultato che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile».

Il dottor Mahi Muqit, professore associato presso l’UCL Institute of Ophthalmology e consulente vitreoretinico senior presso il Moorfields Eye Hospital, ha guidato la parte britannica dello studio. «Nella storia della visione artificiale, questa rappresenta una nuova era. I pazienti non vedenti sono effettivamente in grado di ottenere un significativo ripristino della visione centrale, cosa mai vista prima», rinforza.
«Riacquistare la capacità di leggere rappresenta un notevole miglioramento della loro qualità di vita, migliora il loro umore e li aiuta a ritrovare fiducia e indipendenza. L’operazione con il chip PRIMA può essere eseguita in sicurezza da qualsiasi chirurgo vitreoretinico qualificato in meno di due ore: questo è fondamentale per consentire a tutti i pazienti non vedenti di accedere a questa nuova terapia medica per l’Amd».

«Un nuovo modo di guardare attraverso i propri occhi»

Il Moorfields Eye Hospital è stato l’unico centro nel Regno Unito. Come riferisce Science Daily,  Sheila Irvine, una delle pazienti di Moorfields coinvolte nella sperimentazione, a cui è stata diagnosticata una degenerazione maculare legata all’età, ha detto: «Volevo partecipare alla ricerca per aiutare le generazioni future e il mio oculista mi ha suggerito di contattare Moorfields. Prima di ricevere l’impianto, era come avere due dischi neri negli occhi, con la parte esterna distorta.
«Ero un’avida lettrice e volevo tornare a essere così. Ero nervosa, eccitata, tutte queste cose. Non ho provato dolore durante l’operazione, ma ero comunque consapevole di ciò che stava accadendo. È un nuovo modo di guardare attraverso i propri occhi, ed è stato emozionante quando ho iniziato a leggere una lettera. Non è semplice imparare di nuovo a leggere, ma più ore ci metto, più cose imparo.
«Il team di Moorfields mi ha proposto delle sfide, come “Leggi la tua ricetta, che è sempre minuscola. Mi piace sforzarmi, cercare di guardare le piccole scritte sulle scatolette, fare le parole crociate.
«Ha fatto una grande differenza. Leggere ti trasporta in un altro mondo, ora sono decisamente più ottimista».

Effetti collaterali contenuti e gestibili

Come ogni intervento chirurgico complesso, anche l’impianto comporta dei rischi. Lo studio ha registrato 26 eventi avversi gravi in 19 pazienti, quasi tutti attesi. La maggior parte era ipertensione oculare, ma si sono verificati anche distacchi di retina, fori nella macula ed emorragie sottoretiniche. La stragrande maggioranza dei casi si è verificata entro i primi due mesi e il 95% si è risolto rapidamente, spontaneamente o con intervento medico. La tolleranza è stata considerata buona. Sono previsti ulteriori follow-up fino a 36 mesi.
«I benefici hanno superato di gran lunga gli effetti negativi», conclude José-Alain Sahel, autore senior di questo articolo e ricercatore internazionale affiliato all’Inserm, all’Institut de la vision (CNRS/Inserm/Sorbonne Université), all’Hôpital Fondation Adolphe de Rothschild; all’Hôpital national des 15-20; alla Sorbonne Université di Parigi; e alla University of Pittsburgh School of Medicine di Pittsburgh, negli Stati Uniti. «Finora erano stati sviluppati altri tipi di impianti sottoretinici, con benefici molto inferiori. Questa è la prima volta che un sistema ha permesso a pazienti che hanno perso la visione centrale di leggere di nuovo parole e persino frasi, preservando la visione periferica», conclude.

21 ottobre 2025