di
Samuele Finetti
Lo stop degli Usa dopo una telefonata tra Rubio e Lavrov. Mosca resta contraria a un cessate il fuoco immediato. Dieci Paesi Ue: «Fermarsi alla linea del fronte attuale»
«Quindici giorni. Molto rapidamente, in ogni caso». L’orizzonte temporale entro il quale si sarebbe dovuto tenere il vertice di Budapest con Vladimir Putin l’aveva indicato Donald Trump in persona, poco dopo la sua telefonata con il Cremlino del 16 ottobre. Ne sono trascorsi sei, poi Washington ha fatto marcia indietro: «Non ci sarà nessun incontro tra i due leader nel prossimo futuro».
È stato un nuovo colloquio telefonico tra i ministri degli Esteri, Marco Rubio e Sergei Lavrov, a imporre la brusca frenata: «Hanno avuto una conversazione produttiva — ha dichiarato la Casa Bianca — pertanto un ulteriore incontro di persona tra i due non è necessario e non ci sono piani per un summit a breve tra il presidente Trump e il presidente Putin». Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, a chi gli domandava se l’appuntamento fosse solo rimandato, ha risposto lapidario: «Non si può rinviare ciò che non è mai stato fissato».
Secondo quanto annunciato da Trump meno di una settimana fa, il faccia a faccia tra Rubio e Lavrov avrebbe dovuto «preparare» il vertice in Ungheria. Ma il colloquio di ieri ha fatto emergere ancora una volta una distanza tra le posizioni di Washington e Mosca che pare incolmabile: il Cremlino non è disposto ad accettare il «cessate il fuoco immediato» chiesto dagli Stati Uniti come condizione di partenza per successivi negoziati sul futuro dell’Ucraina.
Putin e i suoi fedelissimi, del resto, lo ripetono da tempo: vanno affrontate e risolte le «radici del conflitto», perché questo possa finire. Tradotto, il dittatore russo pretende che gli sia consegnato tutto il Donbass, nonostante in questi tre anni e più di guerra non sia riuscito a conquistarlo con le armi. Lo ha ribadito anche a Trump, nella loro telefonata: Kiev deve cedere quel che ancora resta ucraino del Lugansk (di cui l’Armata controlla il 99 per cento) e del Donetsk (di cui controlla il 78 per cento).
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Come hanno riferito a Reuters due fonti diplomatiche europee di alto livello, «i russi vogliono troppo, ed è apparso evidente agli statunitensi che, a Budapest, Trump non sarebbe riuscito a strappare a Putin alcun accordo». Da qui il timore che il summit magiaro avrebbe solamente offerto all’uomo del Cremlino un’altra passerella col tappeto rosso, dopo quella in Alaska di Ferragosto. Questa volta, per di più, nel cuore dell’Europa.
Europa che, comunque, continua a lavorare per favorire il congelamento del conflitto. Ieri dieci Paesi — Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Polonia, Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca — insieme con Ucraina e Unione europea hanno firmato una dichiarazione per chiedere che «l’attuale linea del fronte sia utilizzata come base per colloqui di pace». I firmatari stanno poi lavorando a «misure per utilizzare i beni sovrani immobilizzati della Russia, affinché l’Ucraina abbia le risorse di cui ha bisogno».
A questo si aggiunge la stesura di un «piano in 12 punti» che i Paesi Ue e Kiev starebbero elaborando. La bozza, rivela Bloomberg, prevede il ritorno a casa delle migliaia di bimbi ucraini rapiti e uno scambio di prigionieri. Kiev riceverebbe garanzie di sicurezza, fondi per la ricostruzione — cui dovrebbe contribuire anche Mosca, «premiata» con la rimozione graduale delle sanzioni — e un percorso per un rapido ingresso nell’Unione. I due Paesi in guerra dovrebbero infine avviare negoziati sull’amministrazione dei territori occupati, con la premessa che né Europa né Kiev riconoscerebbero la sovranità di Mosca su quelle terre.
Dove, nel frattempo, continuano a piovere droni kamikaze e bombe russi. Ieri, altri quattro ucraini morti.
21 ottobre 2025 ( modifica il 21 ottobre 2025 | 23:23)
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