Nelle scorse ore il giudice per le indagini preliminari di Milano, Marta Pollicino, ha ratificato i patteggiamenti di Davide Lacerenza, a 4 anni e 8 mesi, e dell’ex compagna Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi, a 3 anni. I due, difesi dall’avvocato Liborio Cataliotti, erano stati arrestati il 4 marzo scorso nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla pm Francesca Crupi e del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf in merito al caso “Gintoneria” oltre che sul privé “La Malmaison”, in base ad un presunto giro di prostituzione e droga. Con la scelta dei patteggiamenti è previsto anche un risarcimento, attraverso la confisca disposta dalla giudice, pari ad oltre 900mila euro, ovvero il valore delle bottiglie di champagne e di altri alcolici sequestrate nel corso delle indagini e che adesso saranno messe all’asta. Confiscati anche alcune decine di migliaia di euro trovati sui conti. e gli arredi dei locali sequestrati.
Le misure alternative al carcere
Lacerenza, dopo questa decisione, avrà la possibilità di chiedere la misura alternativa al carcere, cioè l’affidamento in prova ai servizi sociali anche per “disintossicarsi” in una comunità. Stefania Nobile, che tra l’altro nel 2013 aveva finito di scontare la pena per associazione per delinquere e truffa per lo storico caso delle televendite, dopo il patteggiamento odierno, sconterà la pena con “lavori di pubblica utilità” presso la Protezione civile di Bresso, nel Milanese.
La valutazione dei giudici del Riesame
Dopo le indagini sul caso “Gintoneria, Nobile non era accusata di spaccio di cocaina, reato contestato, invece, a Lacerenza assieme allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione. Il 17 aprile, inoltre, la 60enne, che si sarebbe occupata della parte amministrativa e contabile dei due locali notturni, aveva scelto di essere interrogata, lanciando così un segnale di collaborazione agli inquirenti. Il “core business”, avevano segnalato i giudici del Riesame, era la “messa a disposizione di ragazze e stupefacente e non certo solo dell’alcol” e “l’offerta di prostitute”, intesa come “disponibilità e trasporto a domicilio”, era “finalizzata a garantire che la clientela consumasse alcol” e poi al “raggiungimento di un proprio personale tornaconto”. La cocaina? Non era gratis, hanno scritto i giudici, ma “era una disponibilità compresa nella complessiva offerta di un servizio”, tutto rivolto “al divertimento, senza freni, del cliente” con “pacchetti” di champagne, escort e droga. Tra le testimonianze riportate agli atti compariva anche la testimonianza di uno dei clienti più assidui dei locali gestiti da Lacerenza e Nobile, il quale aveva raccontato di cifre “esorbitanti” spese, per un totale di quasi “un milione di euro” in circa tre anni.

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