
Ma ce la ricordiamo noi, in Occidente, l’arte dell’ingresso in scena?
Ne abbiamo fatti di memorabili. Che ne so: Arnold che alza lentamente la testa mentre gira la ruota del dolore in Conan il barbaro. Cobra che arriva sgommando con la sua macchinina anni 50 e poi il primo piano su Rayban e fiammifero tra i denti. Batman che esce dall’ombra e spalanca il suo mantello per spaventare un paio di scagnozzi.
Ma erano cosette, per certi versi. Roba di un’inquadratura ben piazzata.
Sobrietà. Modestia. Timidezza.
Hrithik Roshan sta su altri livelli.
Avete presente il suo ingresso nel primo War? Altro che un’inquadratura ben piazzata: è una vera e propria mini-sequenza studiata al dettaglio.
Credo che Hrithik Roshan abbia un team che inventi per lui gli ingressi in scena un po’ come Jackie Chan ha il suo team per aiutarlo a ideare gli stunt.
Adesso vi faccio vedere il suo ingresso in War, e vi faccio il paragone con l’ingresso di Cameron Diaz in The Mask:
Sono uguali.
E non credo che abbiano intenzioni diverse, tutto sommato.
Per correttezza: Hrithik non è l’unico che fa ingressi in scena simili a Bollywood, neanche per sbaglio, però è una garanzia.
Altri tentano ingressi simili e tu vedi attraverso il loro inganno: sono esseri medi che gonfiano la loro coda di pavone con la speranza degli insicuri, nel tentativo di auto-costruirsi un mito. Ma perlopiù, sono dei gran tamarri.
Hrithik entra in scena senza fare chissà quali pose, ma lasciando unicamente che parlino le reazioni degli altri, come se la cinepresa stesse documentando lo sbarco di una divinità.
E rispetto agli altri fa più impressione perché è serissimo.
Ha un suo grado di tamarrismo, certo, ma lui non è una semplice star d’azione: lui è quello che sa fare tutto. Tutto! Sa menare, sa danzare, è bello come solo i più rinomati artisti delle copertine di Harmony saprebbero dipingere, e non ha tempo per mettersi a fare chissà quali ghirigori a favore di pubblico perché ha tanti di quei tormenti interiori che non puoi neanche immaginarti, volgare umano che non sei altro.
In War 2 deve dimostrare di essere il più grande picchiatore che abbiate mai visto, e c’è un modo semplice per farlo: presentarsi da solo in un covo di ninja yakuza in cima a una montagna direttamente in Giapponia, convertire un lupo rabbioso giapponese alla sua causa con un solo sguardo, menare tutti come se fosse la scampagnata della domenica.
E la cosa che mi lascia perplesso è che continua a farlo con la gravitas di chi è casualmente il migliore anche in questo, ma che in realtà potrebbe farti Shakespeare o un dramma indipendente di Noah Baumbach in qualsiasi momento.
Solo un lupo può capire
Ripassiamo un attimo il contesto: War è stato il film con cui, a suo tempo, abbiamo iniziato ad aprire una finestra regolare sul cinema di Bollywood.
All’epoca, War era semplicemente il kolossal dell’anno di Hrithik Roshan, che per l’occasione faceva coppia con l’emergente star più giovane Tiger Shroff; oggi invece sappiamo che è stato co-optato a posteriori dallo spettacolare modello di cineuniverso bollywoodiano, ovvero quello diviso per mestieri.
Nella fattispecie, questo è lo “Spy Universe” (concorrente del Cop Universe), di cui fa parte anche la saga di Tiger con Salman Khan, e Pathaan con Shah Rukh Khan.
E gli altri film sono abbastanza scanzonati: kolossal d’azione che alternano brividi spettacolari alla Mission: Impossible a momenti più scanzonati per tutta la famiglia.
Hrithik Roshan sembra voler fare il Batman della situazione: quello tenebroso, col passato drammatico. Quello sofferente, che ne ha viste di tutti i colori, ed è segnato dal peso di mille storie che forse non potremo mai capire. Ah, quegli occhi azzurri, una finestra verso un oceano di emozioni in tempesta…
Il problema del concept di War è che è tutto basato sulla bromance: il primo tempo ti racconta di un’amicizia maschile forte come l’acciaio, fondata sul rispetto, l’ammirazione, la fiducia cieca, e poi il secondo tempo ti racconta di uno dei due (quello che non è Hrithik Roshan) che passa dall’altro lato della barricata, mentre Hrithik Roshan (davvero, in entrambi i film) per qualche motivo è costretto a rimanere solo, ricercato anche dai suoi migliori amici convinti che il traditore sia lui.
Il primo film metteva in scena un rapporto mentore/recluta che sembrava poter diventare una partnership invincibile; questo racconta di un grande amico di infanzia, con cui si era instaurato un rapporto stretto quasi di co-dipendenza, che si sfalda in un momento chiave di maturazione.
Entrambi i film diventano roba che a confronto The Killer di John Woo è freddo e minimale come un Walter Hill prima maniera.
Le conseguenze sono:
1) non si lega moltissimo con il tono più leggero degli altri film del franchise, e infatti è strano ma comprensibile che non abbiano voluto inserire comparsate degli altri due compagni di squadra, là dove Salman Khan era apparso in Pathaan e Shah Rukh Khan aveva ricambiato il favore in Tiger 3;
2) mi sembra una formula un po’ strettina per un’intera saga, non è che i prossimi sequel possano tutti andare avanti svelando ogni volta un nuovo amico per la pelle di Hrithik Roshan che ancora non avevamo incontrato e che finirà per tradirlo e incastrarlo. Prima o poi dovrà deviare e trovare un altro tono suo.
Spettacolare “ti amo” volante da parte di N.T. Rama Rao Jr.
Affrontiamo un altro elefante nella stanza: sono anni che vi descriviamo su queste pagine film che sembrano affrontare la reale crisi indo-pakistana in modi che definire controversi è un eufemismo. Credo che il mondo, specie di recente, ci abbia insegnato che è pericoloso sottovalutare l’impatto del cinema come mezzo propagandistico governativo. Pochi mesi fa è scattata l’Operazione Sindoor, e le acque non si sono esattamente calmate. Non è ovviamente questa la sede per dilungarmi sui fatti di cronaca, ma è un po’ un’introduzione per dire che in questo film si fa un po’ marcia indietro su certe questioni. Se negli altri film della saga il Pakistan era dipinto alternativamente come minaccia o come specie di cucciolo insicuro bisognoso di un padrone forte, qua si toglie il focus dall’esterno dipingendo una generica minaccia multinazionale, e lo si riporta all’interno impostando tutto il discorso sulla definizione di patriottismo e sui valori del vero Indiano.
È su questo che si fonda la bromance alla base del film e, devo ammetterlo, ho tirato un sospiro di sollievo: non perché sia d’accordo con quello che viene promulgato, ma perché almeno appunto si fa educazione interna e non socio-politica estera, e questo aiuta a rendere il film – almeno qui – un pelo più leggero.
Il 14enne fresco orfano Kabir diventa amico del coetaneo Raghu, e insieme sopravvivono per le strade di Mumbai vivendo di espedienti finché entrambi non decidono di fare percorso militare. Qui è dove Kabir impara a servire il suo paese mentre Raghu, troppo segnato dalle difficoltà della strada, non abbandona il proprio individualismo e lascia. Anni dopo, Kabir è diventato Hrithik Roshan mentre Raghu è diventato il mitico N.T. Rama Rao Jr., ovvero Bheem di RRR, al suo primo film hindu. Le circostanze li fanno re-incontrare 25 anni dopo ai lati opposti della barricata, ma i sentimenti tra di loro sono ancora forti e sono il motore principale della storia.
Quando iniziate a vestirvi uguale è fatta
Per il resto il film, diretto da Ayan Mukerji (Brahmāstra), viaggia sui binari ormai consolidati del blockbuster d’azione bollywoodiano, con il suo ritmo rapido, le emozioni semplici ma intense, l’occasionale balletto in cui il testo della canzone metterà alla prova le vostre definizioni di “amicizia” e “attrazione sentimentale”.
Siamo sulle 2 ore e 50 ma non ci si annoia un secondo: alla fine questa storia di amici/nemici è pur sempre la versione bollywoodiana di classici temi della Hong Kong degli anni d’oro, e neanche da quelle parti erano esattamente sobri.
Occasionalmente la CGI fa cilecca – specie quando si tratta di mettere in scena un lupo – ma per il resto che gli vuoi dire? Coreograficamente parlando, qui trovi le cose che Fast & Furious copierà, smorzandole, fra tre anni, ed è per questo che si continua a guardare. Ad esempio: il cinema è pieno di famose scazzottate sul tetto di un treno in corsa, no? Indiana Jones, per dirne uno a caso. War 2 a un certo punto, con il solito tono impassibile, inscena una scazzottata sul tetto di un aereo in volo. Battetelo.
Streaming-quote:
“1 minute of bromance, 169 minutes of non-stop carnage and also bromance”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: l’altro giorno mi ero imbattuto per caso in una discussione in cui si dibatteva del fatto che se in una rom-com la protagonista femminile avesse di colpo iniziato a risolvere i propri problemi a cazzotti, al pubblico sarebbero cascate le braccia e si sarebbero immediatamente persi empatia e rispetto. Con tutto che i partecipanti, in stramaggioranza donne, erano coscienti che nella vita vera non è che non succeda. Le storie tra maschi invece – anche quelle di sentimenti, come dimostra War 2 – vanno tutte inevitabilmente a parare lì. Personalmente, spingo per la parità.
Dove guardare War 2