di
Nicolò Fagone La Zita
Dal «colpo del secolo» al caveau di Anversa al furto dei gioielli di Napoleone: Leonardo Notarbartolo analizza la rapina al Louvre, tra talpe, committenti miliardari e strategie di fuga. «Ma il colpo del secolo resta il mio»
Sicuramente un esperto del settore, una mente brillante quanto fuori dal sistema. Questione di inclinazioni. Ma di certo quando occorre ideare un furto fuori dall’ordinario, come quello di pochi giorni fa al Louvre, Leonardo Notarbartolo sa come muoversi. Palermitano trapiantato a Torino, 73 anni, nella notte di San Valentino del 2003 riuscì a penetrare uno dei cuori nevralgici dell’economia mondiale: il caveau del Diamond Center di Anversa, in Belgio. Con altri complici svuotò 123 cassette di sicurezza su 160, per un bottino in diamanti pari a 200 milioni (più del doppio di Parigi) e nessun ferito.
Semplicemente il «colpo del secolo», di cui Notarbartolo fu l’architetto e in grado di ispirare due serie su Amazon Prime e Netflix. Tutto poi venne rovinato nella fuga, quando un’imprudenza da principiante (la carta di un panino abbandonata in autostrada) di un suo compagno consegnò il loro dna alle forze dell’ordine. Oggi Notarbartolo è un uomo libero e dopo sei anni di carcere si occupa di pellet. Da tempo ufficialmente «fuori dai giochi», si può considerare uno dei massimi esperti italiani quando si parla di furti. Una lente in più per cercare di capire il furto di Parigi, quando quattro ladri hanno sottratto alcuni gioielli della collezione di Napoleone (per un valore stimato in 88 milioni di euro) a uno dei musei più famosi del mondo.
Notarbartolo, se oggi si trovasse dalla parte degli investigatori, da dove inizierebbe le indagini? Come giudica il caso d’istinto?
«Di certo è un’operazione fatta su commissione, con l’aiuto di una talpa e di altri soci fuori dal museo pronti a vigilare ed entrare in azione per la fuga».
Da cosa lo deduce?
«Parliamo di una merce unica, dal valore inestimabile e per questo difficile da piazzare. Fa gola a molti, certo, ma questo è solo un ulteriore problema. Il colpo è stato fatto su precisa richiesta di un committente facoltoso e di cui si ha massima fiducia. Altrimenti non ci sarebbero le basi. Sarà un collezionista di prestigio pronto ad accogliere un pezzo di storia in casa. Anche perché il mercato dei diamanti in realtà è in discesa, soprattutto a causa di quelli falsi prodotti in laboratorio. Qui prevale il fascino di detenere un oggetto proibito».
Non è rimasto sorpreso dalle modalità? Sembra un furto perfetto ma quasi elementare, dove la recitazione e l’intraprendenza sembrano prevalere sulla strategia. È d’accordo?
«Sono stati molto bravi, ma tutto è possibile quando hai qualcuno pronto a svelarti tutto dall’interno, un corrotto. Puoi fare tutti i sopralluoghi che vuoi, ma determinate informazioni sono fuori portata. Però certo, tutta la messa in scena dei lavori è stata geniale. Servono personalità e sangue freddo. Le menti deviate osano sempre. Già per pensare di derubare il Louvre devi essere un po’ pazzo».
Dica la verità, è un po’ invidioso?
«Solo se non li beccano. Ma non credo che la faranno franca. Io e la mia banda abbiamo studiato tre anni prima di fare il colpo, facendo tutto da soli. Nessuna soffiata o compratore. Abbiamo sempre agito per noi. Loro invece hanno diverse falle, qualcuno alla lunga può crollare e hanno già lasciato alcune tracce durante la fuga. Poi l’obiettivo è condiviso con qualcuno al di fuori della banda, già questo è un rischio. A me non è mai piaciuto, ho sempre rifiutato lavori su commissione».
È più facile una rapina in banca o ad un museo?
«Sempre il secondo, però poi l’attenzione mediatica è diversa. Devi saper resistere a una pressione maggiore e prepararti ad essere ricercato da tutti. E non parlo solo delle forze dell’ordine. Per questo ho sempre perseguito altri obiettivi. A Torino poi non lo avrei mai fatto. I carabinieri a Tutela del Patrimonio Culturale sono il reparto migliore, non aggiungo altro».
Nella fuga i ladri parigini sono stati più bravi di voi..
«Di certo sono dei professionisti, si tratta di lavorare sui dettagli calcolando anche il traffico e i semafori. Hanno optato per lo scooter. Ho abitato a Parigi, il colpo poteva essere fatto solo di pomeriggio e in quel modo, evitando il sistema di allarmi notturno, più sofisticato. Senza contare le due centrali di polizia a poca distanza. Hanno compiuto una perfetta azione militare».
Sono loro i ladri del secolo?
«Non scherziamo, io ho sconfitto tutti i sistemi d’antifurto di uno dei caveau più sicuri del mondo. Senza aiuti. Usai una lacca per coprire il sensore che coglie calore e movimenti, uno scudo isolante per ricreare un tunnel protetto dagli infrarossi, più un altro sistema per rendere inutile il campo magnetico. Parliamo di più di mille giorni di programmazione, un vero lavoro».
Quale consiglio darebbe adesso ai ladri e agli investigatori?
«Ai primi direi di non muovere un muscolo per un bel po’, tutti i sistemi di vigilanza basati sull’intelligenza artificiale li staranno cercando. Se fossi nelle forze dell’ordine mi concentrerei sulla talpa, un qualsiasi dipendente che entrava e usciva da quel museo. Non credo che la storia sia finita».
Vai a tutte le notizie di Torino
Iscriviti alla newsletter di Corriere Torino
23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 08:51)
© RIPRODUZIONE RISERVATA