di
Paolo Coccorese

Dibattito sul piano, l’Ordine discute del rapporto con i privati

«La perequazione è uno strumento complesso, soprattutto se si parla di quella “aerea”. Va utilizzata con cautela, non in modo avventato. Lo sviluppo urbanistico di Milano si basa su questo principio, ma serve prudenza. Tutto è possibile, anche la migrazione dei diritti edificatori da un’area all’altra, a patto che ci sia una regia pubblica forte».

A lanciare il «warning» è Carlo Barbieri, al termine della prima presentazione «tecnica» del nuovo Piano regolatore, organizzata all’Ordine degli Architetti. Sul palco, accanto alla presidente Roberta Ingaramo, il professore del Politecnico richiama proprio il caso di Milano, città dalla quale il sindaco Lo Russo ha scelto l’attuale assessore all’Urbanistica Paolo Mazzoleni, per mettere in guardia su uno dei meccanismi fondativi della futura «costituzione urbanistica» torinese.



















































Mentre Palazzo Civico punta a portare in giunta la bozza definitiva del piano entro 50 giorni, Mazzoleni — già presidente dell’Ordine degli architetti meneghino — ha risposto all’invito di approfondimento dei colleghi torinesi. Al centro del lungo confronto, le novità più significative di un piano atteso da oltre 30 anni, che si presenta come una sfida non solo normativa — viste le richieste di snellimento emerse anche con il Cresci Piemonte — ma anche politica.

Genera curiosità e ansie l’addio ai vecchi vincoli del vecchio piano Gregotti-Cagnardi per un impianto che, come ha detto Mazzoleni, «punterà più a indicare ciò che non si può fare, piuttosto che ciò che si può fare». «Quando parliamo di città inclusiva, dobbiamo partire dall’inderogabile rispetto degli standard urbanistici», ha ricordato la professoressa Carolina Giaimo, presidente Inu Piemonte e Valle d’Aosta. «Le Ats, le Aree per Servizi del vecchio piano, pur tra difficoltà e deroghe, erano nate per garantire un diritto minimo a tutti. Quella rigidità rispondeva a un principio etico: la coesione sociale». Genera dubbi l’idea del Comune di includere tra i «servizi» non solo scuole e ospedali, ma anche i cosiddetti «servizi ecosistemici», cioè il verde pubblico, per colmare un’attenzione ambientale assente nel 1995.

Mazzoleni prende appunti, poi replica: «Il vecchio Prg prevedeva un equilibrio tra abitanti e dotazioni in una città in crescita. Oggi non abbiamo quella pressione demografica: possiamo pensare a standard anche superiori al minimo, magari più compositi. Ma serve chiarezza: lo standard deve essere pubblico o di uso pubblico». Sì, quindi, anche ai giardini su aree private ma accessibili, come il parco sopra i parcheggi alla Nuvola Lavazza. Ridisegnare il rapporto con il pubblico significa anche ripensare la perequazione. «Oltre al trasferimento dei diritti edificatori, c’è un altro meccanismo: il riconoscimento di volumi in cambio della realizzazione di opere pubbliche, come si fa a Venezia o Bergamo. Se vuoi densificare le residenze vicino alla metro, non puoi comprare tutte le altre aree edificabili in città: ma aderendo a determinate politiche pubbliche puoi ottenere dei vantaggi». 

Come un bricoleur alla Lévi-Strauss, l’assessore punta a costruire soluzioni concrete — vedi gli housing per rispondere al caro-affitti — con gli strumenti oggi disponibili, senza aspettare fondi da Roma. «Serve una regia pubblica forte — dice Mazzoleni —. Per questo l’Ufficio del Piano è in assessorato, composto da personale assunto dal Comune. È la dimostrazione concreta della nostra volontà politica».


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23 ottobre 2025